30 settembre 2017 Macbeth di Daniele Salvo al Silvano Toti Globe Theatre Roma
Recensione a cura di Francesco Grillo

Daniele Salvo ha portato con grande successo, un intenso, carnale ed oscurissimo Macbeth al Globe Theatre di Roma.
In un'opera complessa e recitata con forza si stagliano almeno 2-3 scene assolutamente straordinarie. La scena dell'ultima cena di Re Duncan a Inverness con il suo anfitrione-traditore ed i suoi nobili mi è parsa geniale, di una potenza squassante, ed anche frutto di profonda cultura storico-religiosa sulla sacralità del re medioevale - rex sacrorum, re giusto visto come figura del Cristo Re e come Lui vittima sacrificale .. rilettura di smagliante forza iconica e culturale posta tra il re sacrificato di Frazer ed il Cenacolo leonardiano.
Ammalianti le 3 Streghe/Norne/Moire/Parche giocate in un acuto contrasto tra morte e vita con una delle 3 in avanzato stato di gravidanza: la loro opera innominabile divenuta un parto da obitorio di un cadaverico e misterioso androgino. Notevole infine la tensione della con il fantasma di Banquo (un ottimo Francesco Biscione roco, carnale, denso). Potentissima la Lady Macbeth di Melania Giglio: non fredda calcolatrice ma eroticamente invasata, dionisiaca e demonica, sensuale ed insieme mascolina, con naturalezza prima aspra ed imperiosa e poi folle.
#Macbeth pieno di spiriti demoniaci cornuti, animaleschi esseri stregoneschi sorti dall'inconscio o dal sovrannaturale -difficile distinguerli nell'inferno delle coscienze dei protagonisti. Molto evidenti, nelle presenze stregonesche ricorrenti, i ricordi di Riterna di Bergman; una presenza di temi e stilemi visionaria ieratica e potente.
Le tre streghe-Norne che sembravano ripresentarsi come tre satanici officianti bergmaniani, poi come 3 camerieri animaleschi in una cena da horror scandinavo contemporaneo. Salvo pare attento al pop ed al postmoderno, che può conpiere irruzioni anche nei classici; linguaggi necessari al contatto con il pubblico di oggi. Ed era bello vedere il Globe pieno di giovani strappati per qualche ora alla schiavitù dei cellulari appassionarsi alle vicende di un aitante ed intenso Macbeth che poteva ricordare loro un cupo capovolgimento di un Re del Nord, Rob Stark, di Game of thrones, uno di quegli Stark uccisi dal loro idealismo.
Il tutto è stato un tuffo nell'oscurità del mondo, nel Nero. Solamente nero. Un Macbeth (Giacinto Palmarini costantemente illuminato da luce nera torrenziale.
Questa oscurità (rotta solo dal buon re Duncan morituro) pare quasi una citazione per contrasto dell'altrettanto maledetto Macbeth di Polanski, che giocava invece spesso sui toni del bianco di una purezza sacrale e pronta a corrompersi.
Una "Opera al nero" sovrannaturale, buia e potente che conferma le grandissime qualità del regista.