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Rex in space è una nuova space opera italiana scritta dall'esordiente, in ambito fantascientifico, giornalista scientifico Luigi Starace. 

E' il primo di dieci volumi della Saga dei XX Pianeti, editi da Idrate Pensate. 

Qui è possibile seguire il blog dell'autore dedicato alla Saga dei XX Pianeti



 



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La prima piattaforma italiana di cinema asiatico, FAREASTREAM, compie una settimana. E gli abbonati non hanno certo perso tempo: centinaia di clic, centinaia di visualizzazioni, e una TOP FIVE che, tra blockbuster e grandi classici, rispecchia perfettamente lo spirito del progetto!   


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1°- A TAXI DRIVER di Jang Hun

La mente corre a De Niro e Scorsese, certo, ma questa non è la New York degli anni ‘70: è la Seul degli anni ‘80. Jang Hun ci fa salire su un taxi e ci (ri)porta nel buio di Gwangju, dove sta per esplodere la grande rivolta popolare contro la dittatura di Chun Doo-hwan. Dieci giorni di lotta, dieci giorni di feroce repressione. Il 18 maggio 1980 rappresenta ancora una ferita aperta, nel cuore della Corea, e i DODICI MILIONI DI SPETTATORI che hanno applaudito A TAXI DRIVER lo dimostrano. Blockbuster o inno civile? Un inno civile che parla il linguaggio del blockbuster, affidandosi (tra lacrime, risate, azione) al gigantesco SONG KANG-HO: il pupillo di Bong Joon-ho da MEMORIE DI UN ASSASSINO a PARASITE.

Notorious, ovvero: come imparai a non preoccuparmi e ad amare il cinema:  CULT - Viaggio a Tokyo di Yasujirō Ozu, film drammatico che parla di  distanze e di rapporti familiari che si

2°- VIAGGIO A TOKYO di Ozu Yasujiro

Per fare visita ai figli, due anziani genitori si spostano nella capitale dalla piccola città giapponese di Onomichi. Nonostante le dichiarazioni d’affetto, però, il primogenito Koichi e la sorella Shige non hanno tempo (né troppa voglia) di occuparsi di loro. Soltanto l’ex nuora Noriko, moglie di un terzo figlio disperso in guerra, li tratterà con dolcezza sincera… Incoronato MIGLIOR FILM DELLA STORIA da 350 registi di tutto il mondo, VIAGGIO A TOKYO è l’icona stessa del CINEMA GENTILE del sommo maestro OZU. Una storia semplice che diventa parabola sulle stagioni della vita. Una cronaca familiare venata d’amarezza, ed estremamente raffinata sul piano visivo, che resta per sempre negli occhi e nell’anima. La versione è quella restaurata dalla Shochiku.  


Ultimo film visto? - pagina 424

3°- CASTAWAY ON THE MOON di Lee Hae-jun

“E ora qualcosa di completamente diverso”: CASTAWAY ON THE MOON, l’ormai leggendario ASSO PIGLIATUTTO del FEFF12 (si portò a casa l’Audience Award, con una media-voto vertiginosa, e anche il bacio accademico degli accreditati Black Dragon)! Una commedia davvero unica nel suo genere, buffa e poetica, dolce e surreale, che i FAREASTERS della prima ora saranno sicuramente felici di riapplaudire e che i NEWCOMERS dovranno TASSATIVAMENTE recuperare! Un'occhiata alla trama? È la storia di due bizzarre solitudini che s’incontrano: quella dell’impassibile signor Kim, suicida fallito e moderno Robinson Crusoe su una delle isolette selvagge del fiume Han che attraversa la città di Seul, e quella della signorina Kim, una bella hikikomori in eremitaggio nella propria stanza e connessa al mondo attraverso il web…


Confessions - di Tetsuya Nakashima (2010) | JAMovie

4°- CONFESSIONS di Nakashima Tetsuya

Premiato al FEFF nel 2011 e attraversato da una colonna sonora che spazia da Bach a “Last Flowers” dei Radiohead, ecco il SUPER CULT giapponese di cui si è perdutamente innamorato MICHAEL MANN (“Un capolavoro assoluto”)! Horror? Thriller? Revenge movie? Dramma psicologico? Le catalogazioni sono tutte valide e tutte superflue, perché CONFESSIONS travalica i generi facendosi pura narrazione: il racconto, struggente e glaciale, di un omicidio e di una vendetta che diventa il racconto, feroce e spiazzante, di troppe vite bruciate... Nakashima Tetsuya, padre talentuoso di KAMIKAZE GIRLS e MEMORIES OF MATSUKO, firma un’opera d’arte che riempie gli occhi di grande cinema e non fa prigionieri.


AsianWorld.it on Twitter: "#subs "Beasts Clawing at Straws" di Kim Yong-hoon,  Corea del Sud, 2020, Commedia nera. #sottotitoli Link:  https://t.co/H1KdLadrfp… https://t.co/hKEiLarHfW"


5°- BEASTS CLAWLING AT STRAWS di Kim Yong-hoon

Quattro disperati, una dark lady sbucata dall’inferno (o dagli immediati dintorni), una borsa traboccante di soldi e un dosaggio colossale di KARMA per tutti: ecco gli ingranaggi che muovono, con implacabile e beffarda precisione, questo bellissimo (nerissimo) PULP. Un divertente minuetto di sangue e di coltelli, di umorismo e di cinismo, di flashback e di flashforward, dove la smania di denaro porta clamorosamente sfiga e dove l’unica regola è NON FIDARSI MAI DI NESSUNO. L’esordiente Kim Yong-hoon dirige con mano felice il suo stesso adattamento del romanzo d’origine e ci regala, oltre al film-rivelazione dell’ultimo FEFF  (menzione speciale della Giuria dei GELSI BIANCHI), una folgorante JEON DO-YEON: mai così cattiva, mai così irresistibile!






Recensione per Cinemadonia.it a cura di Carmen Palma  
Le Guerre Stellari tornano al cinema: dopo tanta attesa è finalmente nelle sale Star Wars: The Last Jedi, l’ottavo episodio della celebre saga ideata da George Lucas, il terzo dalla acquisizione della Lucasfilm da parte della Walt Disney Company. La pellicola, diretta da Rian Johnson, è già un successo al botteghino e ha già causato accesi dibattiti tra i fan più accaniti. The Last Jedi è un buon film? Cosa ha funzionato e cosa no?

The Last Jedi fa da seguito a un Episodio VII (Il Risveglio della Forza) che ha diviso molto il pubblico. Il film, diretto da J.J.Abrams, era un prodotto confezionato da un fan devoto, perciò era inevitabile fosse pregno di nostalgia, un regalo, insomma, per tutti i seguaci che dopo tanti anni hanno potuto assistere alle nuove avventure intergalattiche, emulando però eccessivamente la trilogia originale. Scadendo troppo spesso nel citazionismo spinto, il film è sì godibile, ma sicuramente poco audace. La Walt Disney Company poteva esser certa della buona riuscita del film al botteghino, data la grande fanbase, ma ha preferito volare basso, dando agli appassionati qualcosa per cui sorridere e una trama che, nelle dinamiche, ricorda fin troppo le avventure di Luke Skywalker, Leia Organa, Han Solo e Darth Fener.
Il nuovo episodio, invece, riesce a staccarsi maggiormente (ma non del tutto) dalla trilogia degli anni Settanta, a partire dalla regia e dal montaggio.


 Episodio VIII ha una nuova identità cinematografica, più moderna e che non guarda mai al passato, abbinata alla superba fotografia di Steve Yedlin. Una regia di ispirazione nipponica, a giudicare da alcune inquadrature e scelte cromatiche , che rispecchia chiaramente l’idea (malinconica) alla base del film: la fine dei Jedi.

La caratterizzazione dei personaggi, ben presentati in tutte le loro sfaccettature, ricordano in alcuni punti i personaggi originali, ma senza cadere nell’imitazione e soprattutto senza influenzare allo stesso modo la dinamica della storia, ricca di colpi di scena. A cominciare dal suo villain, Kylo Ren: senz’altro un personaggio molto approfondito, che eredita alcune delle peculiarità di Anakin Skywalker (come il suo dissidio interiore tra bene e male), ma che riesce a slegarsene attraverso una scena chiave piuttosto esplicita: il figlio di Han Solo e Leia Organa si disfa della sua maschera, quella che tanto ricorda l’iconica immagine di Darth Fener e che lo stesso Leader Supremo Snoke induce a sbarazzarsene. Non vi è simbologia più forte di questa per rappresentare la diversità tra i due.
Kylo acquisisce,finalmente, una sua vera individualità, grazie alla quale lo spettatore non sente più la mancanza del suo predecessore.
Uno dei maggiori punti di distacco dai precedenti film è l’introduzione di una nuova storyline: quella di Finn e Poe. La trama di questi due personaggi non funziona completamente, le loro avventure non convincono del tutto e non lasciano il segno, ma è frutto di uno sforzo da parte del regista di cambiare completamente rotta dai precedenti film, uno sforzo che va comunque apprezzato. Tra questi due personaggi si inserisce la linea comica che tanto sta facendo discutere: no, di certo non è stata gestita nei migliori dei modi, ma di certo è eccessivo arrecare ad essa il fallimento della pellicola, come molti puristi sparsi per il mondo tendono a fare. Vi sono momenti ironici anche lì dove questi risultano sopra le righe, eccessivo e inutili, di certo la loro mancanza non avrebbe reso il film meno godibile, data la grande presenza di scontri e combattimenti.

C’è una cosa, tuttavia, che rende questo film diverso dagli altri e lo rende apprezzabile. Non solo per i fantastici effetti speciali e il montaggio sonoro che rendono la visione al cinema un’esperienza unica, ma soprattutto perché questo è probabilmente lo Star Wars più “spirituale” di sempre: la forza è al centro di tutto, è protagonista indiscussa, è la causa che muove Rey, Kylo e Luke, i fili della trama sono affidati tutti nelle sue mani. Continua a imperare come unica legge universale anche lì dove i Jedi e la speranza vengono meno.
Tutti gli appassionati di Star Wars ricorderanno la passione con cui maestro Yoda spiegava a Luke e ai suoi allievi l’essenza della Forza, ed è ciò che fa anche Skywalker con la nuova protagonista della saga, eppure non in maniera ugualmente travolgente: le parole e le azioni dell’ultimo Jedi non sono efficaci come lo erano quelle di Yoda, ma danno almeno un’idea generale di cosa questa rappresenti per un guerriero. Un’idea che poteva essere approfondita in due modi: allungando la durata del film, sfiorando così le tre ore, oppure sottraendo la parentesi di Finn e Poe a Canto Bight che, tutto sommato, pur essendo una bella sequenza di azione non lascia totalmente il segno. Soluzioni che, tuttavia, si sarebbero rivelate ugualmente dannose: un film troppo lungo non avrebbe accontentato tutti e avrebbe corso il rischio di diventare noioso, così come non inserire un universo nuovo come quello di Canto Bight avrebbe arrecato grosse critiche a Rian Johnson. Il regista aveva un grosso peso sulla spalle, ossia quello di creare un taglio netto con la saga passata, cosa che J.J.Abrams non è stato in grado di fare: in The Last Jedi l’inserimento di un mondo totalmente nuovo, quello luccicante del gioco d’azzardo dove si nasconde un mondo fatto di soprusi, aiuta Johnson a compiere quel passo in avanti che Abrams non fece. Ed anche a Canto Bight è dato spazio all’interiorità, a quel dualismo buio/luce che resta da sempre un tema molto caro alla saga. Proprio come succede nell’isola dove Luke Skywalker si è rifugiato: sono spazi conflittuali, ambivalenti, entrambi ben rappresentati visivamente e concettualmente. I protagonisti “scendono”( letteralmente) in luoghi che rappresentano l’oscurità e, per metafora, il male. In particolare, la cava dell’isola dove discende Rey ha un aspetto più macabro e introspettivo, la scelta di rappresentare i suoi demoni interiori e i fantasmi del passato attraverso lo stratagemma dello specchio risulta accattivante, pur essendo un classico del cinema.

È un film che si ama o si odia, ma di certo non lascia indifferenti. Johnson ha avuto più audacia di Abrams,ma è andato sul sicuro con la distribuzione equa di scene d’azione e di riflessione, le quali hanno una carica emotiva tale da non risultare mai banali o noiose. Tengono sulle spine esattamente come se si trattasse di un attacco del Primo Ordine alle forze ribelli. Una tensione che rende, di fatto, L’Ultimo Jedi superiore a Il Risveglio della Forza.
Carmen Palma

A breve in libreria il primo e unico saggio mai scritto in Italia sulle commedie cinematografiche di #Pierino A CURA DI Gordiano Lupi per SensoInverso




Pierino è il bambino terribile delle nostre barzellette, noto anche in America Latina, dove viene chiamato Pepito, ma le caratteristiche non cambiano: irriverenza, volgarità, trasgressione, ilarità e sboccataggine. Noi vogliamo parlare solo del Pierino cinematografico, geniale intuizione di Marino Girolami, Gianfranco Clerici e Vincenzo Mannino che produsse sequel, apocrifi, film per la televisione, progetti mai realizzati, idee bruciate sul nascere e persino alcuni film invisibili, vero e proprio incubo dei fan. I film della serie regolare – interpretata da Alvaro Vitali – sono tre: Pierino contro tutti (1980) e Pierino colpisce ancora (1982), diretti da Marino Girolami, mentre il tardo sequel Pierino torna a scuola (1990) è firmato da Mariano Laurenti. Pierino contro tutti fa registrare tra gli otto e i nove miliardi d’incasso (al tempo il biglietto costava 4.000 lire), un successo clamoroso che produce una ridda di imitazioni prima che Girolami possa girare il sequel autorizzato. 

Chi ha inventato Vitali nei panni di Pierino? Pare che persino Federico Fellini (diresse Vitali sul set di Amarcord) vedesse bene il piccolo attore romano nei panni di Pierino, ma è logico affermare che l’idea fu di Clerici e Girolami, non è lecito sapere quanto sia da imputare al primo e quanto al secondo, ma una cosa è certa: Alvaro Vitali ha le phisique du rôle per interpretare il bambino pestifero delle barzellette. 

Una mise che non cambia mai: cappello azzurro, fiocco rosso, pantaloni corti, scarpe da tennis, maglioncino senza maniche… risata irriverente, battute salaci, ripetitività della mimica e un immancabile epiteto conclusivo: col fischio o senza?

L’AUTORE: Gordiano Lupi (Piombino, 1960). Traduce ispanici, si occupa di cultura cubana e scrive di cinema italiano. Tra le sue numerose pubblicazioni ricordiamo: una Storia del cinema horror italiano in cinque volumi. I suoi romanzi Calcio e acciaio – Dimenticare Piombino (Acar, 2014), e Miracolo a Piombino - Storia di Marco e di un gabbiano, sono stati presentati al Premio Strega. Per Sensoinverso è uscito il suo saggio Storia della commedia sexy all’italiana. Da Sergio Martino a Nello Rossati. Blog di cinema: La Cineteca di Caino (http://cinetecadicaino.blogspot.it/). Pagine web: www.infol.it/lupi. E-mail per contatti: lupi@infol.it

Autore: Gordiano Lupi
Titolo: PIERINO CONTRO TUTTI. L’eroe popolare delle barzellette: analisi di un fenomeno cinematografico e di costume.
ISBN: 9788867933433
Collana: ItaliaNascosta
Pag. 60
Prezzo: € 12,00
Link sito ufficiale:
Per contatti: 
www.edizionisensoinverso.it - edizionisensoinverso@hotmail.it

I film L’ora del lupo e Il rito sono stati girati nella seconda metà degli anni 60 e vengono considerati minori, soprattutto dalla critica europea. Vincenzo Totaro spiega quanto sia erronea questa catalogazione.

 L’ora del lupo (Vargtimmen) Svezia 1966/1968 di Ingmar Berman, con Max Von Sydow, Liv Ullman, Erland Josephson, Ingrid Thulin

Film controverso  appartenente alla fase calante di Bergman prima della rinascita degli anni settanta, denso di elementi autobiografici. Il film riesce a fare molta paura. Con pochi tocchi e un ritmo lento, ossessivo, a tratti esasperante. Qui si riprende e riaggiorna il cinema espressionista. Il risultato è a tratti folgorante con sequenze che riescono a mettere i brividi così, scollate dal contesto; non c’è bisogno di vedere e capire il resto, fanno paura e basta, proprio come le immagini che degnamente popolano gli incubi e significano solamente sé stesse.Quanto basta per accusare il film di eccesso estetizzante, ma l’immagine, in un film del genere, è tutto. Va caricata, esasperata in senso espressionista. I volti divisi dalle luci e dalle ombre, quei contrasti che rendono tutto straniante e irreale. Sven Nykvist fa, tanto per cambiare, una fotografia stupendamente contrastata e questo rende il compito di Bergman più facile. Se proprio vogliamo trovare un difetto, possiamo riferirci alla incostanza di Bergman nel registro onirico. Non ha sempre i tempi e le intuizioni giuste e se nella breve distanza se la cava alla grande, nelle sequenze più lunghe perde qualche colpo (in questo perde la sfida a distanza con Epstein e con il Dreyer di Vampyr). Si tratta comunque di una puntualizzazione un po’ forzata che non sminuisce il valore del film. 
bergman2In una sequenza il protagonista afferma che il tempo, certe volte si ostina a non trascorrere; si mette così a contare i secondi fino a raggiungere il minuto e il film si ferma così, aspetta per un minuto prima di riprendere la notte popolata di incubi e vampiri. Chiaramente debitore del Vampyr di Dreyer nonchè di una lunghissima schiera di film del periodo muto non solo espressionisti, ma anche appartenenti alla prima avanguardia e al surrealismo. L’isola pare un luogo ideale per materializzare gli incubi interiori e il terrore scorre irrazionale e incalzante nella notte come nel giorno.
Per molti critici questo è l’inizio della mancanza d’ispirazione del regista,  ma auguro a tutti gli autori di avere mancanze d’ispirazione di questo genere …

Il rito (Riten) Svezia 1969, di Ingmar Bergman, con Ingrid Thulin, Gunnar Bjornstrand, Erik Hell, Anders Ek, Ingmar Bergman

L’arte e il suo contrario . L’arte è il suo contrario (replay) in questo film arrabbiatissimo di Bergman. Con PERSONA l’autore scandinavo aveva alzato il tiro, nascondendosi dietro un generico quanto fuorviante intimismo; qui lo scontro è frontale. L’arte e la morale si scontrano senza esclusione di colpi; l’arte ha dalla sua l’utilizza forsennato e abbacinante della sessualità, sovraesposta e pronunciata; la morale comune ha potenza carsica e sgretola l’arte dall’interno, svuotandone contenuti e contenitori. Gli attori sono simbolo di pienezza rituale ma insidiati dalla morale comune diventano poveri depressi capricciosi e un po’ maniaci, dei vuoti a perdere, patetici e grotteschi.Il giudice, dal canto suo, vacilla di fronte alla mutaforme Thulin e scopre il peggio ( o forse il meglio nel senso di vero ) di sè.
Allora c’è il bisogno di una confessione e il caso vuole che il confessore sia lo bergma3stesso Bergman. Molti hanno speculato sulla distanza presunta tra Bergman e il suo personaggio, ma hanno tralasciato un piccolo, fondamentale, particolare: non si tratta di una confessione ma di un colloquio e il frate che ascolta tutto in silenzio non giudica, ma si volta dall’altra parte.  Il frate non impersona la morale comune e l’oppressione come si può facilmente dedurre, ma è un guardiano della soglia stanco e forse un po’ annoiato. Accompagna il giudice dall’altra parte,  e dall’altra parte c’è l’arte che scandalizza perchè al suo opposto c’è sempre qualcuno che non vede l’ora di scandalizzarsi.

Paolo Spinola regista italiano misconosicuto da riscoprire a cura di Gordiano Lupi (parte 1/5)


Filmografia



Paolo Spinola (Genova, 1929 - Roma, 2005), regista, soggettista e sceneggiatore, entra nel cinema nel 1952. Fino al 1958 la sua attività principale è come aiuto di Gianni Franciolini: Il mondo le condanna (1952), Villa Borghese (1953), Racconti Romani (1955), Peccato di castità (1956), Racconti d’estate (1958). Collabora anche con Giorgio Capitani (Piscatore ’e Pusillipo, 1954), Luigi Comencini (La finestra sul Luna Park, 1956) e Riccardo Freda (Agguato a Tangeri, 1957, di cui è anche soggettista e sceneggiatore). 
Il promettente regista, purtroppo per il cinema italiano, realizza solo quattro pellicole d’autore, dal 1964 al 1977, caratterizzati da un accurato lavoro di introspezione psicologica dell’animo femminile. 

Esordio alla regia datato 1964 con un film che la critica reputa un piccolo capolavoro: La fuga. Protagonista Giovanna Ralli, conosciuta da Spinola sul set di Franciolini di Villa Borghese (1953). Il secondo film, L’estate (1966), per il tema torbido del rapporto tra una figliastra sedicenne e un ricco industriale ebbe noie con la censura e un fermo divieto ai minori. La donna invisibile (1969), terza fatica, venne sequestrato dopo il primo giorno di proiezione e fermato per ben due mesi. 


La censura voleva il taglio di otto sequenze, a cominciare dai titoli di testa che vedono numerosi nudi parziali di Giovanna Ralli, circa venticinque minuti di materiale. Il film fu assolto con una sentenza storica che interpretava in maniera ampia il concetto di comune senso del pudore.


Paolo Spinola conclude la sua attività di regista con Un giorno alla fine di ottobre scritto nel 1969 - in piena contestazione studentesca - ma girato soltanto alcuni anni dopo ed entrato in distribuzione nel 1977 quando i problemi erano altri: si parlava di terrorismo, non di scontri di piazza tra polizia ed extraparlamentari, tra studenti e forze dell’ordine.


Spinola cura sempre il soggetto e può dirsi "un autore". 
I temi portanti del suo cinema sono la descrizione critica dell’alta borghesia, ma anche un’attenta analisi di singolari figure femminili. 

Testimonianza


Abbiamo reperito una testimonianza di Paolo Spinola resa a Ester de Miro nel volume Genova in celluloide. I registi liguri (Comune di Genova, 1984), curato da Claudio Bertieri e Marco Salotti:
 “L’idea di fare cinema è nata per caso, come per molti altri: forse perché ero stato ad Alassio durante la guerra e lì avevo fatto amicizia con il figlio di Gino Cervi, che voleva andare a Roma per fare il produttore. Così mi sono lasciato coinvolgere e sono andato a Roma con lui. Ho iniziato la mia attività nel cinema come aiuto regista di Franciolini soprattutto, ma anche di Freda, Capitani, Comencini. [...] 
In quel periodo facevo anche qualche sceneggiatura con Amidei e dei documentari. Poi con Gigi Malerba avevamo costituito una società pubblicitaria, facevamo degli short [...]. Ho realizzato il primo film, La fuga, nel 1963: ho scritto io il soggetto e la sceneggiatura. L’interprete [...] era Giovanna Ralli, una professionista perfetta, secondo me la prima attrice italiana per bravura: per questo film vinse anche il Nastro d’argento della stagione, come migliore attrice protagonista. L’estate è del 1966: anche questo film è nato da un mio soggetto, mentre la sceneggiatura l’ho scritta con Marco Ferreri. Veramente avevo fatto una prima sceneggiatura con Amidei, molto brutta... anzi bellissima sul piano dello spettacolo, ma non era quello che volevo fare io. [...]
Secondo me nel cinema moderno lo spettacolo deve nascere dall’osservazione della realtà. I conflitti non devono essere drammatizzati ed enfatizzati, ma devono scaturire con naturalezza. L’idea della storia mi era venuta dopo essere capitato con Amidei su una barca di alcuni amici [...]. La parte maschile è stata [...] affidata a Enrico Maria Salerno, che è bravo [...]; per la parte della figlia ho trovato una ragazzina al Piper, Mita Medici, che non sapeva certo recitare, non aveva mai fatto niente, ma aveva un suo peso... aveva qualcosa... non aveva tecnica, ma la guardavi e bastava... non so, è difficile spiegare. Il 1969 è l’anno de La donna invisibile: l’ha prodotto la Clesi Cinematografica dopo il rifiuto di Enzo Doria al quale l’avevamo proposto [...].
Per fare cinema l’importante è avere delle storie. Il guaio oggi è nei costi, che sono troppo alti, e per avere dei finanziamenti bisogna dare delle garanzia e rischiare di persona; un pittore, uno scrittore, usa la propria tela o la propria carta, fa il suo quadro o il suo libro e poi può venderlo o no, ma un film lo devi vendere prima... a essere sincero oggi non sarei disposto a investire soldi nel cinema”.

Testo a cura di Gordiano Lupi Direttore Editoriale delle Edizioni Il Foglio


La Guerra dei Mondi di Spielberg vista con una insolita chiave di lettura, una fra le tante: osservare il film come un’allucinazione della bambina protagonista atta a recuperare la figura di un padre lontano e indifferente ? Certo non è il primo film di presunta science-fiction del regista, né la prima volta che parla di famiglia…

articolo originale di Luigi Starace
 

Introduzione
"Volevo rendere questo film simile ad un prisma, in cui ognuno può vedere una sfaccettatura diversa. Quindi ho cercato di renderlo più aperto possibile all'interpretazione [..] ho messo insieme tanti elementi, in modo che ognuno possa avere la sua opinione."
(Spielberg per intervista a La Repubblica )
Gli artisti sono il limite di loro stessi. Dopo l’apice entrano in ridondanza.
Non tutti però. Alcuni smettono mentre fra gli altri, quelli che continuano, i più coscienti ( o prudenti ) realizzano le opere successive come "variazioni sul tema". In buona fede si potrebbe pensare che idea che fa botteghino non si cambia, sarebbe anche semplice in fondo. Inoltre aggiungere qualcosa di originale nelle opere successive sarebbe sempre più difficile perciò il prodotto proposto sostanzialmente non cambia.
Invece con malizia ( analitica ? ) si potrebbe pensare che il core, il nucleo caldo sia ancora scoperto e che l’artista senta ancora il bisogno di esporlo. Per raffreddarlo, consegnarlo, permettere che venga scoperto ?
Non è cosi importante appurarlo invero, o almeno non così primario, urgente come il produrlo.
Tale è l’opera , non quale l’artista.

La science-fiction e il regista
Ma cosa è per Spielberg la fantascienza:
"La fantascienza è una vacanza che mi tiene lontano da tutte le regole della logica narrativa. E' una vacanza dalla fisica di base. Ti permette di lasciarti alle spalle tutte le imposizioni e di volare. Noi, come esseri umani, non possiamo volare e invidiamo gli uccelli per questo. Io invidio Tom Cruise perché pilota aeroplani e jet mentre io non posso farlo, ho troppa paura. Per la maggior parte di noi, la fantascienza è l'unica possibilità di volare veramente. E' per questo che amo tanto questo genere e ci ritorno sempre, perché non dà limiti all'immaginazione. La sfida, in questo caso, è stata quella di far sembrare comunque credibile il film. Sia io che David Copp, lo sceneggiatore, abbiamo fatto in modo di far sembrare i personaggi più reali e normali possibile. Detto questo, la fantascienza rappresenta per i registi una grande fuga." ? (intervista per La Repubblica)
La fantascienza dei film di Spielberg è "magica". Per questo scontenta i puristi del genere e in fondo un po’ annoia. Se ci fosse altro sotto però ?
" A parte i problemi di originalità, a volte le vicende sono tanto forzate e innaturali da sfiorare il ridicolo. Avrebbero dovuto intitolare il film "Una Serie di Fortunati Eventi" (tanto per rifarsi al titolo di un recente film tratto dai libri di Lemony Snickets): l’eroe di turno e la sua famiglia non vengono scalfiti nemmeno dalla più drammatica delle catastrofi. Per una serie di fortunate coincidenze la famiglia Ferrier è l’unica a trovare un’automobile. E si tratta di un'auto magica, visto che riesce magicamente a passare senza intoppi attraverso un fittissimo ingorgo autostradale e riesce a restare illesa anche quando viene parcheggiata di fianco ad un quartiere e ad una abitazione che rimangono quasi completamente distrutti. ". Daniele Toninelli
"La mia vera natura ha voluto che facessi 'E.T.' e 'Incontri ravvicinati del terzo tipo', ma lo spettatore che è in me ha sempre voluto fare 'La Guerra dei Mondi'. Cosa c'è di più elettrizzante di una guerra tra la razza umana e gli extraterrestri?". Spielberg
" Spielberg non si accontenta della fine degli invasori alieni rovinando quel poco che restava da rovinare chiudendo il film con un quadretto di famiglia, viva e vegeta fino alla terza generazione grazie a chissà quale miracolo, che più che portare sollievo fa urlare di rabbia lo spettatore. Già ci siamo dovuti bere il fatto che gli alieni siano venuti sulla Terra senza prendere le più elementari precauzioni chimico-batteriologiche (potevamo bercela ai tempi di Wells, nel 2005 è ben più difficile), ma il lieto fine a tutti i costi, riconciliazione padre/figlio compresa, è stato davvero troppo. " Silvio Sosio

I tempi di narrazione sono quelli di un bambino, lo spazio e gli oggetti propri degli adulti.
Invero Spielberg è ormai un veterano della dissimulazione del significante narrativo: usare la fantascienza o la fantasia per poter parlare in sfondo della famiglia, o meglio del suo modello medio borghese "american way of life" ( un uomo deve fare cio’ che un uomo deve fare, il coraggio ma non a sfondo catartico proveniente dall’amore-incontro-scoperta dei figli o il ritrovsamento del prorpio status di figlio )
To tell the truth molta della produzione western dagli anni 30 ai 50 era imperneata di tematiche e conflitti a forte caratterizzazione edipica. Ciò è tanto vero che il Leone d’oro di quest’anno, a distanza di 50 anni dall’epoca d’oro del far west, l’ha vinto il regista Ang Lee ( lo stesso di Hulk e La tigre e il dragone ) con un film sui cow-boy gay (Brokeback Mountain )
Spielberg trasla dal latte del far west alla via lattea del so far far away. I fuorilegge braccati e agognanti il Messico nascosti dai figli dei braccanti ( e quindi oggetto di sfida verso le pre-generazioni ) per esempio,diventano alieni maldestri che provano a fare una collect call ( chiamata a carico del destinatario ) su Alpha Centauri e affini, capaci tuttavia di realizzare ( garantendo questa volta una gratifica preclusa ai loro omotetici in bianco e nero ) i piccoli sogni rompi monotonia dei figli, come volare con la bici al chiaro di luna . Non è quindi solo un finale meno mortifero a far meritare l’etichetta di ottimista al nostro cineasta. Qualcuno a lui vicino si spingerà anche oltre, ribaltando le posizioni, non solo giustificando la ribellione figliare bensì innalzandola a crociata contro l’abisso, il lato oscuro. Figli cosi forti o impauriti dalla realtà che è possibile accettare ma non assimilare:
- Luke! Io sono tuo padre —
Luke Skywalker, capace di interagire autonomamente con La Forza cosmica, sente che è la verità, che quello è suo padre, ma preferisce lasciarsi cadere dentro un lungo tunnel terminante nel vuoto più che seguirlo. Guerre Stellari: a volte non c’è spazio più lontano della stanza affianco. Dall’ottimismo all’autonomia di un figlio, di una generazione, come si comprende bene dalle parole di Walter Murch ( montatore da tre Oscar ) parlando di Lucas: " Così si disse: okay, se è troppo scomodo politicamente come soggetto attuale, trasferirò la storia altrove e la farò accadere in una galassia lontana nel tempo e nello spazio. I Ribelli sono i nordvietnamiti e L’Impero gli Stati Uniti. E se possiedi la Forza, non importa quanto sei piccolo, puoi sconfiggere il grande potere oppressivo." Guerre Stellari è la versione di George Lucas di Apcalypse Now." ( Il cinema e l’arte del montaggio )
Illuminante, no ?


Una considerazione gruppale
Un film o una serie di film dello stesso regista permettono più che l’etichettatura del singolo artista, una collocazione antropologica del filtrato-lavoro nel background sociale di riferimento. Escludendo la funzione filtro ( alfa in termini bioniani ) del cineasta e focalizzando non sul "perché" ma sul "come" i piani di interpretazione si moltiplicano, consentendo, nella riflessione psicodinamica della interfaccia artista-opera—spettatori, l’emergere dele realtà gruppali inconscie, determinanti, oltre alla maestria talentosa della troupe, il successo del film. Inquadrabile apparentemente in un assunto di base bioniano di attacco-fuga La Guerra dei due mondi non ha riscosso il successo sperato in Europa ( eppure Walsh, lo scrittore del romanzo anti colonialista da cui i film sono stati tratti e i vampiri sono forieri di copyright europeo ). Di fatto, per il modo in cui il nemico è debellato la meta trama è riconducibile all’assunto di base di dipendenza: i nemici sono sconfitti dal sangue infetto che risucchiano e da un elemento invisibile agli uomini, il microbo. Anche la voce narrante in epilogo sentenziante che : " Nessuna morte è vana " mi induce ad affermarlo. C’è di fatto il miracolo ed è ciò che anche lo spettatore in sala mormora umoristicamente.

La filmografia spielberghiana, la ricorrenza.
- Sci-fi:
1977-Incontri ravvicinati del terzo tipo: un gruppo eterogeneo di persone riceve l’incipit da entità extra terrestri per un monte su cui sbarcheranno. Il protagonista abbandona tutto per arrivarci compresi moglie e figli che gli danno dello strambo. Riunirà nel close encounter, tanto da venir adottato dagli alieni e andar via con loro dopo una metamorfosi ad acta
1982-ET: un alieno simpatico viene protetto da un gruppo di ragazzini in bici. Cucciolo perso nella periferia della Via Lattea tra cuccioli della provincia americana saprà meravigliarli e grazie al loro aiuto-protezione tornerà a casa.
2001-AI: dopo millenni solo NY rimane a documentare i nostri giorni e nel profondo di quello che era l’Atlantico gli esseri oblunghi e iridescenti del Futuro trovano il pinocchio-androide addormentato mentre era alla ricerca della mamma-fata turchina. Potranno grazie alla tecnologia fargli rivivere il passato e finalmente potrà festeggiare il suo compleanno "in famiglia" ( film nato da un plot imbastito da Kubrick in cui il finale da mezzora è totalmente spielberghiano ).
2002-Minority Report: Sempre un Tom Cruise tormentato per la perdita della sua famiglia e intento ad evitare che altri soffrano per omicidi futuri ( i futuri criminali sono arrestati nel presente prima che commettano il crimine ).
- Non sci-fi :
1991-Hook: Peter Pan non riesce a staccarsi dal cellulare e il figlio si lascia adottare da Uncino. Per riconquistarlo il satirello volante dovrà tornare a fare scherzi da prete, pardon, da peter-pan, essere accettato dagli altri marmocchi e mostrare il suo coraggio in duello. Non volava perché non fantasticava più. Uncino seduce il figlio di peter grazie al baseball…
1997-Salvate il soldato Rayan: una dozzina di soldati viene mandata in missione (suicida) dietro le linne nemiche per recuperare dopo lo sbarco in Normandia il quarto figlio arruolato, paracadutista disperso, e unico ancora in vita. Mamma America non vuole che una mamma del missisipi pianga ancora. Inutile dire che è l’unico a salvarsi, dalle brutture della guerra e dalla morte.
Insomma condita con salse diverse ma la pietanza dal sapore quasi winnicottiano sembrerebbe esserci e lo stesso regista nell’ intervista già citata ammette che non è lui quello capace di far film "disperati". Sarà vero, ma la miopia c’è…

Contesto famigliare
Che il vero nucleo narrativo del film sia la famiglia, con tutte le difficoltà che comporta metterle in scena qualcuno se n’è accorto :
Spielberg fa leva, esattamente come in molti temevamo, sui sentimenti più epidermici e deteriori, riducendo il tutto a un apologo moraleggiante sulla ritrovata unità familiare di fronte alle avversità. Malgrado in varie interviste dai toni trionfalistici e autocelebrativi il "più grande regista della storia del cinema" (permettetemi di dissentire ) abbia dichiarato il contrario, c’è soltanto un vaghissimo accenno alla verità proclamata da Wells, cioè la lotta per la sopravvivenza di due razze .Massimo Manganelli
Parlare di rapporti familiari per un regista, in genere, non è una passeggiata:
" …I vissuti personali del regista lo inducono ad adottare un atteggiamento prudente.Egli preferisce non proporre una " terapia familiare " che inevitabilmente lo farebbe entrare in risonanza con la propria famiglia d’origine o con quella acquisita. Le problematiche familiari, pur presenti nei vari film, vengono affrontate con l’utilizzo di un piccolo espediente. La famiglia viene smembrata, frazionata in tanti sottosistemi e l’attenzione focalizzata su alcune diadi …" ( L’analista in celluloide, Ignazio Senatore )
Tom Cruise conferma che è una tattica vincente:
" Adoro il modo in cui Steven Spielberg affronta il concetto di famiglia nei suoi film "

La Trama del film
Protagonista del film si chiama Ray Ferrier, lavora come operaio specializzato nei cantieri navali del New Jersey, è un padre separato inaffidabile e un po' sbruffone incaricato di passare con i due figli il classico week-end dove, in ossequio alla legge di Murphy, tutto ciò che può andar male lo farà. Dopo le prime anomalie atmosferiche - miriadi di fulmini che cadono nello stesso posto senza alcun tuono -, il buon Ray s'imbatte con stupefatto terrore in un oggetto non identificato che affiora dal suolo stradale ed inizia a polverizzare la folla circostante senza pietà di sorta. Da quando la minaccia si manifesta in tutta la sua gravità il padre irresponsabile tenterà d'impegnarsi al meglio per far continuare a respirare due rampolli che lo sopportano a malapena, e nel tentativo non si risparmierà nessuna furbata di sorta. L'avanzata inarrestabile dei tentacolari tripodi extraterrestri proseguirà in un'escalation di panico, colorandosi di inedite tinte vampiresche durante l'incontro della famiglia in fuga con un superstite ormai ottenebrato dalla sindrome della resistenza a tutti costi.

L’ allucinazione della bambina, una proposta di lettura
A mio avviso uno dei metatesti possibili de La Guerra dei Mondi è proprio quello del sogno immaginario della bambina figlia del protagonista.
Sulla base della mia esperienza personale in casa famiglia per minori in affido non trovo insolito che la figura paterna assente o indifferente al bambino sia idealizzata fino alla onnipotenza.
Non potrebbe allora accadere che una bambina "ricodifichi" tutto il mondo circostante per poter assimilare e metabolizzare un padre che seppur umano sembri vivere su un pianeta lontano ( come sembra lontano, ma non lo è il New Jersey da Boston ) ?
"Nel bimbo n on c’è disitinzione tra rappresentazione, degli oggetti reali, e affetto: l’affetto si rivela quale primo prodotto mentale, e come tale entra a far parte ,determinante, delle incipienti capacità rappresentazionali. Gli oggetti che il bimbo si rappresenta sono mutevoli e, per noi, confusi: un oggetto può al contempo essere anche un altro. Ciò si evidenzia nel disegno spontaneo dei bambini. Possono disegnare un affare strano che conteporaneamente è un albero, ma anche un cane; e per loro è contemporaneamente tutti e due. Bisogna essere a contatto col bambino, per entrare dentro questo suo mododi vedere: non si può chidergli " Cosa hai disegnato ?", perché allora lui ci risponderà in termini compiacenti alla nostra struttura adulta. (Imbasciati-Fondamenti psicoanalitici della psicologia clinica)
C’è il viaggio alla fine del quale tutto è risolto e il tripode è attaccabile non perché il suo campo di forza è stato forzato o annullato ma perché il suo abitante-manovratore è malato.
Gli Altri di Altrove sono impercettibili come fantasmi e come tali scendono dal cielo, ma ingombranti come angoscie essi emergono dal sottosuolo terrorizzando e dissolvendo letteralmente gli adulti. Eppure diventano totalmente digeribili e assimilabili in sembianze e atteggiamenti ( guardano foto, girano la ruota della bici… ) agli occhi della bambina protagonista.

Gli alieni sembrano avere un atteggiamento persecutorio nei confronti dei due fuggitivi, padre e figlia, soprattutto quando questi si credono al sicuro, rintanati nello scantinato. Di fatti gli alieni tornano più volte ad ispezionare lo scantinato fino a scovare gli umani. ( altra lettura: vengono scoperti dopo che il padre aveva soppresso il suo opposto ed è quindi costretto ad affrontare i mostri più grandi. Non ci riesce e la figlia urlante ( ma è una costante nel film) e tutt’altro che paralizzata dal terrore ( sono proprio queste le scene in cui, dall'inquadratura e dal taglio di ripresa, evincerebbe che è la bambina il fulcro, l’occhio immobile del ciclone ) viene catturata. Al padre non resta che farsi catturare compiendo l’atto catartico del sacrificio, cui seguirà, senza che il neo eroe l’abbia voluto (deus ex machina) la distruzione del tripode, dal suo interno. Gli uomini prigionieri in cesti giganti saranno di nuovo liberi e senza un graffio dopo un volo di 10 metri.
L’unica figura femminile adulta del film è una amica di papà e sembra anche simpatica. Peccato non riesca a seguirlo mentre stanno salendo su un traghetto-salvatore. Non ci riuscirà metà della gente presente sulla riva. Ma la trama non volge al cinismo e anche il battello salvatore viene affondato. Riescono a salvarsi in pochi…Nella scena del battello emerge l’altruismo del fratello maggiore e ancora l’impotenza del padre. Nel nodo narrativo successivo il figlio si separa dal padre per unirsi all’esercito in lotta. E’ una separazione strana per i canoni hollywoodiani: non c’è ne investitura ne attrito. L’addio viene interrotto dalle urla della bimba, raccolta da altri e quasi potata via per la distrazione paterna, o per le eccessive( ? ) attenzioni date al figlio. Non c’è addio fra i fratelli, ne la bimba accennerà alla cosa in seguito.
Le scene ambientate nello scantinato a detta di diversi critici sono accessorie e non necessarie al plot, ma come da studi sugli effetti del cinema negli spettatori ( schermi violenti- Imbasciati ) le parti considerate più " brutte " sono anche le più ricche di spunti al dibattito. Ecco dunque che osservando ancora questa sequenza si nota che la bambina è l’unica a vedere le sembianze degli alieni che scendono giù in perlustrazione: il padre e lo sconosciuto lottano, in silenzio fra loro per un fucile. Il viso della bambina viene inquadrato in primo piano: l’occhio che spia da una fessura gli Altri è illuminato, quello rivolto ai due adulti che lottano è in ombra. E’ libera di vedere ora, mentre per tutto il film il padre le aveva vietato di guardare sia i tripodi giganti sia la distruzione intorno ripetendole " tieni gli occhi su di me" . La bimba osserva gli alieni curiosare maldestramente fra foto di famiglia e biciclette : nessun orrore ( gli alieni hanno abitudini vampiresche ) e il clima di suspence si stempera in Gianni e Pinotto.
Per un cinefilo, ma non solo, un tale cambio di climax è inaccettabile. Per un bimbo, no…
Per tutto il film il padre si oppone alla violenza mostrata : prima lascia cadere la pistola per poter riavere la figlia bloccata in macchina, poi cerca in tutti i modi di evitare che il figlio maggiore vada a combattere i mostri, di seguito blocca lo sconosciuto prima che spari ad un alieno. Risulta paradossale allora che decida di strangolare lo sconosciuto perché rumoroso quando basterebbe imbavagliarlo. Lui non vorrebbe ma è per "salvare la bambina" ( gli alieni sono ipersensibili ai suoni e possono rintracciarli facilmente ).
Chiude gli occhi e tappa le orecchie della piccola, va nell’altra stanza e ritorna dopo un paio di minuti. Lo sconosciuto,guerrafondaio paranoico e primitivo , l’opposto del padre, quello che si era anche offerto di badare alla bimba se il genitore fosse perito non c’è più, non compare più. Possono dormire tranquilli ora. Ma un grosso occhio spia alieno li scova comunque: al padre ora tocca affrontare , dopo il suo opposto nello scantinato, il grande tripode, vampiro e persecutore, in scalfibile…in campo aperto. Un altro "se stesso" da affrontare ?
Dopo la distruzione fortuita ( una serie di granate innescate senza la volontà del padre ) del tripode i due raggiungono sani e salvi la città in cui vive la madre. Termina il viaggio: la città è sicura, non è stata distrutta pur essendo invasa.
E’ qui che un ‘altra invisibilità si concretizza: i batteri ammorbano gli alieni, ma questo si scoprirà solo dopo e solo grazie all’epilogo del narratore. Il padre ha in braccio la figlia, è protettore ormai, non più indifferente a lei e alle sue allergie. E’ lui a scoprire e indicare ai militari che il campo di forza introno ai mostri di acciaio non c’è più. Migliaia di militari guardinghi ma non sagaci, si direbbe. E’ fatta i mostri sono attaccabili. E’ vittoria. E’ anche felicità perché tutti sono vivi e raccolti nella casa materna, anche il fratello maggiore scampato ad un’esplosione devastante.
La grande invasione, la grande paura capace di muovere — commuovere gli adulti…
Solitudine più isolamento uguale allucinazione ?

Luigi Starace

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