Ritualis - Le cerimonie del Mostro di Firenze è uno strano romanzo: costruito su due romanzi all’apparenza indipendenti, legati fra loro da una cornice che sa tanto film a episodi della Amicus degli anni Settanta. Il cinema in effetti c’entra parecchio con questo libro, vista l’aria che si respira, direi direttamente collegata con quelle oscure pellicole gialle italiane degli anni Settanta, in particolare quei gialli minori, tipo La polizia brancola nel buio o I vizi morbosi di una governante. A queste derive si uniscono le mode di oggi, in particolare quei post-thriller rurali sul genere di True Detective. Eppure, anche questi riferimenti non bastano a spiegare un romanzo che contiene dentro di sé l’essenza del mostro, più di tutti i libri che sono stati scritti sull’argomento (eccetto i volumi labirintici di Filastò, non a caso citato nell’esergo dai due autori): vedo già le mani alzate dei tanti criminologi dilettanti appassionati del caso, li vedo storcere il naso per come la vicenda originale è stata trasfigurata (ad esempio il tutto è ambientato tra la Lunigiana e la pianura Padana, nel vercellese, una sorta di non-luogo della tarda modernità). 

È necessario capire una cosa: Ritualis è un romanzo che lavora sulla cronaca fiorentina e la trasfigura, facendola assurgere a un mito oscuro, orfico, della contemporaneità, al pari della vicenda di Jack lo squartatore, mostro mitologico utilizzato all’interno di format narrativi che lo accoppiano con tutto e tutti. Allo stesso modo, Vacchino e Rosso lavorano di fino su questi brandelli d’incubo e scrivono una sorta di requiem su di noi, ciascuno di noi, sulla tristezza e l’alienazione dell’oggi.

 In definitiva, al di là delle citazioni cinematografiche, e delle tante letterarie (interessante il tentativo di costruire delle equivalenza narrative col thriller che fu, ricorrendo a lunghi prelievi dai testi dei padri fondatori del surrealismo), questo Ritualis mi è parso una sorta di Tenebre argentiana, aggiornata trent’anni dopo, calata all’interno delle macro-strutture totalizzanti, dove l’ideologia della competitività e della prestazione va ormai ben oltre la sfera economica e invade la biologia del corpo, trasformandoci in avatar del consumo eterno, costretti a rincorrere un duro lavoro che può garantirci soltanto una sopravvivenza fittizia, una povertà reale, un’assenza d’identità e una depressione magari curabile in qualche campo di addestramento alla felicità di Amazon. 

Questo è Ritualis e molto altro ancora!
Davide Lupo