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A breve in libreria il primo e unico saggio mai scritto in Italia sulle commedie cinematografiche di #Pierino A CURA DI Gordiano Lupi per SensoInverso




Pierino è il bambino terribile delle nostre barzellette, noto anche in America Latina, dove viene chiamato Pepito, ma le caratteristiche non cambiano: irriverenza, volgarità, trasgressione, ilarità e sboccataggine. Noi vogliamo parlare solo del Pierino cinematografico, geniale intuizione di Marino Girolami, Gianfranco Clerici e Vincenzo Mannino che produsse sequel, apocrifi, film per la televisione, progetti mai realizzati, idee bruciate sul nascere e persino alcuni film invisibili, vero e proprio incubo dei fan. I film della serie regolare – interpretata da Alvaro Vitali – sono tre: Pierino contro tutti (1980) e Pierino colpisce ancora (1982), diretti da Marino Girolami, mentre il tardo sequel Pierino torna a scuola (1990) è firmato da Mariano Laurenti. Pierino contro tutti fa registrare tra gli otto e i nove miliardi d’incasso (al tempo il biglietto costava 4.000 lire), un successo clamoroso che produce una ridda di imitazioni prima che Girolami possa girare il sequel autorizzato. 

Chi ha inventato Vitali nei panni di Pierino? Pare che persino Federico Fellini (diresse Vitali sul set di Amarcord) vedesse bene il piccolo attore romano nei panni di Pierino, ma è logico affermare che l’idea fu di Clerici e Girolami, non è lecito sapere quanto sia da imputare al primo e quanto al secondo, ma una cosa è certa: Alvaro Vitali ha le phisique du rôle per interpretare il bambino pestifero delle barzellette. 

Una mise che non cambia mai: cappello azzurro, fiocco rosso, pantaloni corti, scarpe da tennis, maglioncino senza maniche… risata irriverente, battute salaci, ripetitività della mimica e un immancabile epiteto conclusivo: col fischio o senza?

L’AUTORE: Gordiano Lupi (Piombino, 1960). Traduce ispanici, si occupa di cultura cubana e scrive di cinema italiano. Tra le sue numerose pubblicazioni ricordiamo: una Storia del cinema horror italiano in cinque volumi. I suoi romanzi Calcio e acciaio – Dimenticare Piombino (Acar, 2014), e Miracolo a Piombino - Storia di Marco e di un gabbiano, sono stati presentati al Premio Strega. Per Sensoinverso è uscito il suo saggio Storia della commedia sexy all’italiana. Da Sergio Martino a Nello Rossati. Blog di cinema: La Cineteca di Caino (http://cinetecadicaino.blogspot.it/). Pagine web: www.infol.it/lupi. E-mail per contatti: lupi@infol.it

Autore: Gordiano Lupi
Titolo: PIERINO CONTRO TUTTI. L’eroe popolare delle barzellette: analisi di un fenomeno cinematografico e di costume.
ISBN: 9788867933433
Collana: ItaliaNascosta
Pag. 60
Prezzo: € 12,00
Link sito ufficiale:
Per contatti: 
www.edizionisensoinverso.it - edizionisensoinverso@hotmail.it

I film L’ora del lupo e Il rito sono stati girati nella seconda metà degli anni 60 e vengono considerati minori, soprattutto dalla critica europea. Vincenzo Totaro spiega quanto sia erronea questa catalogazione.

 L’ora del lupo (Vargtimmen) Svezia 1966/1968 di Ingmar Berman, con Max Von Sydow, Liv Ullman, Erland Josephson, Ingrid Thulin

Film controverso  appartenente alla fase calante di Bergman prima della rinascita degli anni settanta, denso di elementi autobiografici. Il film riesce a fare molta paura. Con pochi tocchi e un ritmo lento, ossessivo, a tratti esasperante. Qui si riprende e riaggiorna il cinema espressionista. Il risultato è a tratti folgorante con sequenze che riescono a mettere i brividi così, scollate dal contesto; non c’è bisogno di vedere e capire il resto, fanno paura e basta, proprio come le immagini che degnamente popolano gli incubi e significano solamente sé stesse.Quanto basta per accusare il film di eccesso estetizzante, ma l’immagine, in un film del genere, è tutto. Va caricata, esasperata in senso espressionista. I volti divisi dalle luci e dalle ombre, quei contrasti che rendono tutto straniante e irreale. Sven Nykvist fa, tanto per cambiare, una fotografia stupendamente contrastata e questo rende il compito di Bergman più facile. Se proprio vogliamo trovare un difetto, possiamo riferirci alla incostanza di Bergman nel registro onirico. Non ha sempre i tempi e le intuizioni giuste e se nella breve distanza se la cava alla grande, nelle sequenze più lunghe perde qualche colpo (in questo perde la sfida a distanza con Epstein e con il Dreyer di Vampyr). Si tratta comunque di una puntualizzazione un po’ forzata che non sminuisce il valore del film. 
bergman2In una sequenza il protagonista afferma che il tempo, certe volte si ostina a non trascorrere; si mette così a contare i secondi fino a raggiungere il minuto e il film si ferma così, aspetta per un minuto prima di riprendere la notte popolata di incubi e vampiri. Chiaramente debitore del Vampyr di Dreyer nonchè di una lunghissima schiera di film del periodo muto non solo espressionisti, ma anche appartenenti alla prima avanguardia e al surrealismo. L’isola pare un luogo ideale per materializzare gli incubi interiori e il terrore scorre irrazionale e incalzante nella notte come nel giorno.
Per molti critici questo è l’inizio della mancanza d’ispirazione del regista,  ma auguro a tutti gli autori di avere mancanze d’ispirazione di questo genere …

Il rito (Riten) Svezia 1969, di Ingmar Bergman, con Ingrid Thulin, Gunnar Bjornstrand, Erik Hell, Anders Ek, Ingmar Bergman

L’arte e il suo contrario . L’arte è il suo contrario (replay) in questo film arrabbiatissimo di Bergman. Con PERSONA l’autore scandinavo aveva alzato il tiro, nascondendosi dietro un generico quanto fuorviante intimismo; qui lo scontro è frontale. L’arte e la morale si scontrano senza esclusione di colpi; l’arte ha dalla sua l’utilizza forsennato e abbacinante della sessualità, sovraesposta e pronunciata; la morale comune ha potenza carsica e sgretola l’arte dall’interno, svuotandone contenuti e contenitori. Gli attori sono simbolo di pienezza rituale ma insidiati dalla morale comune diventano poveri depressi capricciosi e un po’ maniaci, dei vuoti a perdere, patetici e grotteschi.Il giudice, dal canto suo, vacilla di fronte alla mutaforme Thulin e scopre il peggio ( o forse il meglio nel senso di vero ) di sè.
Allora c’è il bisogno di una confessione e il caso vuole che il confessore sia lo bergma3stesso Bergman. Molti hanno speculato sulla distanza presunta tra Bergman e il suo personaggio, ma hanno tralasciato un piccolo, fondamentale, particolare: non si tratta di una confessione ma di un colloquio e il frate che ascolta tutto in silenzio non giudica, ma si volta dall’altra parte.  Il frate non impersona la morale comune e l’oppressione come si può facilmente dedurre, ma è un guardiano della soglia stanco e forse un po’ annoiato. Accompagna il giudice dall’altra parte,  e dall’altra parte c’è l’arte che scandalizza perchè al suo opposto c’è sempre qualcuno che non vede l’ora di scandalizzarsi.

La postmodernità in “Addio ai confini del mondo” Paolo Cianconi, FrancoAngeli 2011
estratto dal libro su gentile concessione dell'autore per Cinemadonia.it


 Il postmoderno è un entità difficile a definirsi. Gli stessi autori che dichiarano di iscriversi e di riconoscersi nella così detta post-modernità faticano a convergere su una definizione univoca, universalmente accettata e condivisa di questo fenomeno culturale (Dellantuono, Pastore) .
Possiamo parlare di postmodernità come della cultura che si è sviluppata subsoglia dagli anni settanta in poi, ma che è emersa all’attenzione preponderante dagli anni ottanta in poi. Il postmoderno è caratterizzato da un pensiero specifico, dal collasso di quasi tutti i sistemi ideologici e di riferimento del ‘900, dalla inserzione delle tecnologie come terzo asse di intelaiatura della specie umana, insieme al binario biologico e culturale.

Trapasso moderno – La questione della fine della modernità è ancora più ardua della sua definizione. Allo stato attuale non possiamo dire con esattezza quale sia stata la sequenza e quali i suoi protagonisti; tra l’altro non tutti gli autori sono d’accordo che la modernità sia trascorsa o terminata. Il dilemma del confine della modernità sembra, almeno in parte, rimanere aperto: finisce la modernità? A. Touraine (1970), addirittura, non parla di un passaggio in avanti, ma di una retromarcia, di un processo di decostruzione: la de-modernizzazione.

C’è chi sostiene persino che si dovrebbe parlare di una separazione in “due Novecento”. Tuttavia, inevitabilmente qualcosa è accaduto nell’ultimo cinquantennio e non si può trascurarne l’importanza. Il mondo non è assolutamente più assimilabile entro i parametri della modernità classica, industriale, capitalistica, etnica, statale e non ultimo materiale-fisica. 

Numerosi fenomeni socio-tecnologici hanno cambiato la nostra realtà, molti di questi processi trasformativi sono, tra l’altro, tutt’ora in corso. Potremmo così parlare di trasformazioni e conseguenze. Tra le trasformazioni più importanti ricordiamone almeno tre: le ricerche sulle nuove tecnologie, il postcolonialismo e le sue derive, le trasformazioni geopolitiche ed economiche dopo la caduta dei regimi socialisti. La nostra specie è immersa in queste metamorfosi che coinvolgono i gruppi, il nostro modo di vivere e non ultima la nostra stessa biologia.
(per approfondire leggere Addio ai confini del mondo; parte seconda)

Tra le conseguenze delle grandi trasformazioni ricordiamo almeno tre macro fenomeni: la creazione di un nuovo tipo di spazio-tempo (spazi virtual-transnazionali) e l’alterazione di quello consueto in terre vulnerabili; l’emergere ed il sussistere di un nuovo tipo di pensiero tra i sapiens (la cosiddetta fine delle “grandi narrazioni” e sue conseguenze sul pensiero dei postmoderni); il post-umanismo: trasformazione del corpo e della psiche per effetto delle nuove tecnologie.
(per approfondire leggere Addio ai confini del mondo; parte terza

Quanto sopra scritto, naturalmente, non rende conto della portata di questi eventi bio-socio-psicotecnologici cui tutti noi siamo sottoposti. Il mondo intorno a noi è sollecitato, stirato mesmerizzato tra campi di energie, che in parte sono nuovi e in parte riadattati (mutati): se la realtà perde le caratteristiche che conoscevamo e diviene altro. Nondimeno essa è riflessiva, cioè si avvede di quello che gli accade e tenta di conservare una rotta. Le prossime generazioni, e almeno alcune di quelle presenti, dovranno fare i conti con la resa del mondo che conoscevamo, mentre già emerge il nuovo sistema, e navigarci dentro. Mentre i confini collassano, le cose si trasformano.



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