Parlare di Cinema Arti Visive e Culture Indipendenti

Articles by "autori italiani"





Rex in space è una nuova space opera italiana scritta dall'esordiente, in ambito fantascientifico, giornalista scientifico Luigi Starace. 

E' il primo di dieci volumi della Saga dei XX Pianeti, editi da Idrate Pensate. 

Qui è possibile seguire il blog dell'autore dedicato alla Saga dei XX Pianeti



 

La terra dei Santi (2013) esordio nei lungometraggi del regista Fernando Muraca. Visione antropologica al femminile della ‘ndrangheta 
di Luigi Starace


IL film ha vinto il festival di Valence in Francia nel 2016 con la seguente motivazione “La giuria si è dimostrata sensibile all’estetica del film, nonché al coraggio del regista che ha affrontato un tema delicato in Italia: la mafia calabrese. Complimenti!”

Manfredonia – E’ una bella giornata di sole autunnale e Siponto in questo periodo, in una anonima domenica di fine ottobre, appare ancora più radiosa. Raggiungiamo Fernando Muraca nel suo albergo; ci accoglie con un sorriso, manipolando fra le mani uno strano aggeggio color piombo: “E’ un antistress che mi ha regalato mio figlio” commenta. Di lì a poco avrei notato che non ne avrebbe fatto largo uso, perlomeno in nostra presenza: “buon segno” penso fra me e me, vuol dire che non lo stiamo annoiando.

Partiamo dal film, perché La Terra dei Santi, perché Manfredonia? 

“Sono cinque anni che lavoro a questo film, ho iniziato con la collaborazione di Monica Zapelli, sceneggiatrice de “I cento passi”. La trama vede protagoniste tre donne, un giudice, la moglie di un boss e sua sorella. Il film che parla di ‘ndrangheta non vuole raccontare tanto i traffici e le gesta di questa organizzazione ma vuole dare una visione antropologica del fenomeno: perché una donna meridionale che darebbe la vita per il proprio figlio, decide ad un certo punto di “donarlo” all’organizzazione mafiosa? Il film doveva essere girato in Calabria ma lì abbiamo trovato le porte chiuse, qui in Puglia invece avete una bella realtà, l’Apulia Film Commission accoglie e sponsorizza molto volentieri progetti di questo genere, così abbiamo trovato terreno fertile per la realizzazione del progetto. La scelta di Manfredonia è stata dettata da una ragione molto semplice: morfologicamente la vostra città assomiglia molto a Vibo Valentia, dove sono nato. Manfredonia con il suo paesaggio, il mare, il promontorio garganico mi ricorda molto i luoghi dove ho trascorso la mia infanzia e dove è ambientato il film”.


A parte le similitudini morfologiche, cosa accomuna noi manfredoniani agli abitanti di Vibo Valentia, dal punto di vista antropologico?

 “Tutte le popolazioni meridionali sono accomunate da una grande sofferenza, quella di vivere in territori che sono sottoposti ad una grande violenza che si chiama mafia, che impedisce loro di esercitare appieno la propria libertà. Nelle nostre città, non siamo pari, c’è chi ha più libertà di intraprendere e c’è chi invece deve rendere conto ad altri per mettere a frutto i propri talenti. In Calabria, Sicilia, Campania, Puglia le mafie hanno il loro quartier generale che poi diffonde i suoi tentacoli in tutta Europa. Il sistema mafioso si sostituisce allo Stato, garantendo ai propri affilati sicurezza e divenendo, in un certo senso, un sistema di collocamento a tal punto che, come dicevo, anche le donne sono portate in modo acritico ad accettarne le regole immolando i propri figli”.


Parliamo di Fernando Muraca, quando nasce la sua vocazione? 

“La mia storia di professionista del cinema è legata alle mie scelte di vita. Non ho mai avuto questo sogno da bambino, è capitato. Ho imparato fin da piccolo a mettere a frutto i miei talenti, sono convinto che se compi questo esercizio progettualmente alla fine questo porta alla piena realizzazione dei propri sogni. Stavo girando il mio primo cortometraggio, ad un certo punto dovevo riprendere il volto della protagonista, mentre giravo mi sono reso conto che non mi vedevo più, ero completamente immerso nell’attimo presente. Questo ha provocato in me una gioia immensa, di piena realizzazione, così ho pensato: se questa cosa mi rende così felice vuol dire che questa è la mia vocazione”.
Riprese film 'La Terra dei Santi'; scene girate in Piazzetta (ph: Luigi Starace)
Riprese film ‘La Terra dei Santi’; scene girate in Piazzetta (ph: Luigi Starace)

Qual è il film che ha girato che porta sempre nel cuore, il figlio prediletto?

 “Il primo e l’ultimo, questo che sto girando adesso. Nel mio primo cortometraggio “Ti porto dentro”, ho rappresentato tutti i semi di una poetica che poi avrei sviluppato nel tempo in tutti i miei lavori. Ti porto dentro racconta la storia della buona morte: che cosa succede ad un uomo quando giunge alla fine della sua vita e deve abbandonare questa terra? Ero andato al funerale di una persona, che mi colpì profondamente; quel momento sembrava una festa, si viveva sì il dolore del distacco ma al contempo quel giorno ci diceva di un uomo che passando nel mondo, aveva lasciato cose meravigliose. Ispirandomi a questo momento ho scritto una storia d’amore che doveva realizzarsi proprio nel momento in cui la vita finisce”.

C’è stato qualche momento in particolare nella sua vita durante il quale avrebbe preferito mollare tutto e fare un passo indietro? 


“Il mondo del cinema, si sa, ha delle dinamiche molto complesse, è dura, e a volte i tempi non sono maturi per accogliere e apprezzare il tuo lavoro. Sì, ho attraversato un momento di sofferenza molto particolare, è difficile capire cosa fare quando finalmente sei riuscito a realizzare il sogno della tua vita (diventare regista ndr) e sei convinto di aver realizzato un buon prodotto che però viene rifiutato in tutti i festival in cui lo presenti. E’ quello che è capitato a me; non riuscivo a capire perché il mio film veniva rifiutato ovunque lo presentassi anche se si trattava di un buon lavoro. In quel momento di crisi sono stato spinto ad andare avanti, mi ha aiutato molto la fede, il mio rapporto epistolare con Chiara Lubich (fondatrice e leader del Movimento dei Focolari), conclusione se non avessi perseverato e avessi abbandonato tutto, ora non sarei qui. Cinque anni più tardi, lo stesso film ha riscosso un successo non indifferente. Semplicemente quando lo avevo presentato la prima volta la critica e il pubblico non erano pronti ad accoglierlo. Nel nostro lavoro a volte accade di anticipare i tempi, bisogna solo saper aspettare”.

So che lei ha una grande fede, come si può riuscire nel mondo di oggi, a trasmettere il volto di Dio attraverso un film? 

“L’uomo è un essere dotato di interiorità, a questa cosa ognuno di noi dà un nome, c’è chi la riferisce a Dio, chi ad un’altra entità. Io ho ricevuto una formazione cristiana, sono nato in Calabria e qui l’essere cristiano è qualcosa di naturale. Quindi il fatto di essere cristiano è prima di tutto legato a questo. Mi identifico nei valori della famiglia, dell’amicizia, dell’accoglienza che secondo me sono alla base di ogni comunità sociale e questo non può essere ininfluente nelle mie opere. Cerco di immettere nelle mie opere un senso spirituale, qualcosa che rimandi a qualcos’altro che non vediamo e che non si può descrivere. Quando racconto le storie, cerco l’uomo e Gesù è l’uomo. Dio è nelle persone che incontro, nei miei collaboratori, nei miei personaggi. Essere credente significa provare un amore sconfinato per l’uomo”.

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L’opera prima, prodotta da Kinesis Film con il sostegno di Apulia Film Commission, è stata riconosciuta di interesse culturale e realizzata con il contributo della Direzione Generale per il Cinema. 
Interpreti principali:
Valeria Solarino, Lorenza Indovina, Daniela Marra, Ninni Bruschetta e Francesco Colella.
Le riprese, iniziate a Manfredonia (FG) lo scorso 14 ottobre, si sono concluse il 9 novembre. Nel corso dell’incontro il regista Muraca ha evidenziato la volontà di un racconto “utile a quelle donne,a quelle famiglie che non sono riuscite ad interrogarsi sull’affidamento dei propri figli alla criminalità organizzata, nonostante questo avrebbe potuto significare la perdita dei propri cari”. “Manfredonia – ha detto il regista – è stata scelta dopo una visione della struttura della città, a partire dalla presenza del porto”.
Il film è stato girato interamente a Manfredonia dopo il diniego delle APF della Sicilia e della Calabria

Paolo Spinola regista italiano misconosicuto da riscoprire a cura di Gordiano Lupi (parte 1/5)


Filmografia



Paolo Spinola (Genova, 1929 - Roma, 2005), regista, soggettista e sceneggiatore, entra nel cinema nel 1952. Fino al 1958 la sua attività principale è come aiuto di Gianni Franciolini: Il mondo le condanna (1952), Villa Borghese (1953), Racconti Romani (1955), Peccato di castità (1956), Racconti d’estate (1958). Collabora anche con Giorgio Capitani (Piscatore ’e Pusillipo, 1954), Luigi Comencini (La finestra sul Luna Park, 1956) e Riccardo Freda (Agguato a Tangeri, 1957, di cui è anche soggettista e sceneggiatore). 
Il promettente regista, purtroppo per il cinema italiano, realizza solo quattro pellicole d’autore, dal 1964 al 1977, caratterizzati da un accurato lavoro di introspezione psicologica dell’animo femminile. 

Esordio alla regia datato 1964 con un film che la critica reputa un piccolo capolavoro: La fuga. Protagonista Giovanna Ralli, conosciuta da Spinola sul set di Franciolini di Villa Borghese (1953). Il secondo film, L’estate (1966), per il tema torbido del rapporto tra una figliastra sedicenne e un ricco industriale ebbe noie con la censura e un fermo divieto ai minori. La donna invisibile (1969), terza fatica, venne sequestrato dopo il primo giorno di proiezione e fermato per ben due mesi. 


La censura voleva il taglio di otto sequenze, a cominciare dai titoli di testa che vedono numerosi nudi parziali di Giovanna Ralli, circa venticinque minuti di materiale. Il film fu assolto con una sentenza storica che interpretava in maniera ampia il concetto di comune senso del pudore.


Paolo Spinola conclude la sua attività di regista con Un giorno alla fine di ottobre scritto nel 1969 - in piena contestazione studentesca - ma girato soltanto alcuni anni dopo ed entrato in distribuzione nel 1977 quando i problemi erano altri: si parlava di terrorismo, non di scontri di piazza tra polizia ed extraparlamentari, tra studenti e forze dell’ordine.


Spinola cura sempre il soggetto e può dirsi "un autore". 
I temi portanti del suo cinema sono la descrizione critica dell’alta borghesia, ma anche un’attenta analisi di singolari figure femminili. 

Testimonianza


Abbiamo reperito una testimonianza di Paolo Spinola resa a Ester de Miro nel volume Genova in celluloide. I registi liguri (Comune di Genova, 1984), curato da Claudio Bertieri e Marco Salotti:
 “L’idea di fare cinema è nata per caso, come per molti altri: forse perché ero stato ad Alassio durante la guerra e lì avevo fatto amicizia con il figlio di Gino Cervi, che voleva andare a Roma per fare il produttore. Così mi sono lasciato coinvolgere e sono andato a Roma con lui. Ho iniziato la mia attività nel cinema come aiuto regista di Franciolini soprattutto, ma anche di Freda, Capitani, Comencini. [...] 
In quel periodo facevo anche qualche sceneggiatura con Amidei e dei documentari. Poi con Gigi Malerba avevamo costituito una società pubblicitaria, facevamo degli short [...]. Ho realizzato il primo film, La fuga, nel 1963: ho scritto io il soggetto e la sceneggiatura. L’interprete [...] era Giovanna Ralli, una professionista perfetta, secondo me la prima attrice italiana per bravura: per questo film vinse anche il Nastro d’argento della stagione, come migliore attrice protagonista. L’estate è del 1966: anche questo film è nato da un mio soggetto, mentre la sceneggiatura l’ho scritta con Marco Ferreri. Veramente avevo fatto una prima sceneggiatura con Amidei, molto brutta... anzi bellissima sul piano dello spettacolo, ma non era quello che volevo fare io. [...]
Secondo me nel cinema moderno lo spettacolo deve nascere dall’osservazione della realtà. I conflitti non devono essere drammatizzati ed enfatizzati, ma devono scaturire con naturalezza. L’idea della storia mi era venuta dopo essere capitato con Amidei su una barca di alcuni amici [...]. La parte maschile è stata [...] affidata a Enrico Maria Salerno, che è bravo [...]; per la parte della figlia ho trovato una ragazzina al Piper, Mita Medici, che non sapeva certo recitare, non aveva mai fatto niente, ma aveva un suo peso... aveva qualcosa... non aveva tecnica, ma la guardavi e bastava... non so, è difficile spiegare. Il 1969 è l’anno de La donna invisibile: l’ha prodotto la Clesi Cinematografica dopo il rifiuto di Enzo Doria al quale l’avevamo proposto [...].
Per fare cinema l’importante è avere delle storie. Il guaio oggi è nei costi, che sono troppo alti, e per avere dei finanziamenti bisogna dare delle garanzia e rischiare di persona; un pittore, uno scrittore, usa la propria tela o la propria carta, fa il suo quadro o il suo libro e poi può venderlo o no, ma un film lo devi vendere prima... a essere sincero oggi non sarei disposto a investire soldi nel cinema”.

Testo a cura di Gordiano Lupi Direttore Editoriale delle Edizioni Il Foglio




10 domande a Ivan Cotroneo

Ivan Cotroneo è un autore capace di far ridere, sorridere o pensare. Versatile perchè attento al mondo intorno e osservatore per istinto Ivan Cotroneo è già entrato negli schermi televisivi degli italiani da anni come sceneggiatore grazie all'Ottavo Nano e Tutti pazzi per Amore. Penna fertile con tendenze al naturalismo di nuovo millennio Ivan ha saputo emozionare e coinvolgere con la scrittura di Paz! e Mine Vaganti. Prima del grande salto dietro la camera da presa, naturalmente da indipendente e basandosi su un suo romanzo, Ivan lascia nella biografia del primo decennio del 2000 il suo ultimo romanzo: Un bacio.

1) Il momento in cui hai deciso che saresti diventato uno scrittoreNon mi sembra ci sia stato un momento in cui ho deciso. Scrivevo storie già alle elementari, racconti che poi mio nonno batteva a macchina. Ma non ho deciso veramente che sarei diventato scrittore. Io ho solo iniziato a scrivere come un matto.

2) La tua idea di cinema e letteraturaRaccontare mondi inventati per parlare del mondo reale. E quindi cercare di comprenderlo un po’.

3) Il supporto fisico su cui scriviTastiera del computer. Ma se sono in giro prendo appunti dappertutto.

4) Gli autori che ti hanno influenzato maggiormenteElsa Morante, William Somerset Maugham, Raymond Carver, William Shakespeare.

5) Il libro (altrui) che avresti voluto scrivere tuFerito a morte, di Raffaele La Capria



6) Il tuo spettatore ideale
Una persona che cerchi una storia da cui farsi trascinare.

7) La volta in cui avresti voluto mollare tutto (e il motivo percui non l’hai fatto)Non è ancora arrivata. Quando arriverà, spero di resistere.

8) Uno scrittore emergente che consiglierestiRossella Milone, che ha scritto tre racconti bellissimi: ‘la memoria dei vivi’.

9) Il progetto a cui stai lavorando in questo momentoPrendo appunti per il prossimo romanzo, una storia d’amore impossibile, ambientata a Napoli, nel presente e nel passato. E mi preparo a debuttare come regista.

10) Un giudizio su CinemaDoniaMi piace molto. Parlare di cinema indipendente è l’unico modo in cui si possa parlare di cinema. Il cinema dovrebbe essere solo indipendente. E sul sito, le schede e gli interventi sono veramente molto precisi.Ulteriori info e news:www.ivancotroneo.it (luigi starace) 




Fare una buona commedia è difficilissimo, fare una buona commedia in Italia è un’impresa titanica, condizionato così com’è ormai il cinema Italiano da cinepanettoni, filmetti per teenager e commediole atte solo a far cassetta… Riuscire a fare una commedia che sappia dire qualcosa di nuovo, che sappia raccontare una bella storia, dei personaggi memorabili, in una cornice meravigliosa è un qualcosa di così raro che non credo che debba sfuggire… “La kryptonite nella borsa” è una di quelle sorprese piacevoli in un panorama cinematografico che tende alla noia ed alla monotonia… In una Napoli anni ‘70 che non sa né di camorra né di spazzatura, recuperando la sua naturale vocazione ad essere scenario di piccoli grandi racconti familiari, ecco che si muove una famiglia decisamente fuori dai canoni, una di quelle famiglie che ora si chiamerebbe “disfunzionale”, ma che più comunemente la potremmo definire sgangherata: un ragazzino miope e timido, una madre depressa, un padre fedifrago ma amoroso verso il figlio, nonni, zii “alternativi”, maestra e amici… 

Un guazzabuglio umano tenero e fragile, divertente e verace, raccontato con una delicatezza favolistica direi quasi francese (un po’ più di quasi specie nell’introduzione, molto “Amelie”) Un film che sa dosare tenerezza e comicità, immaginazione e realtà, con un cast formidabile (in primis degli eccezionali Valeria Golino e Luca Zingaretti), regalando quasi 2 ore di film da ricordare… Qualche piccola sbavatura nella trama, forse, ma sinceramente, al netto del piacere di un bel film, si può perdonare. 


Lilli It. 2008 di Filippo Ticozzi (38'). Scritto, diretto e montato da Filippo Ticozzi (Pavia, 1973), è un'elegia del silenzio, dai significati maggiori dei segni che contiene. Sul piano strettamente narrativo il cinema del regista pavese predilige le ellissi, nel solco di un processo selettivo di matrice intimista, volto a suggerire, più che a mostrare. In questo senso l'immagine di Ticozzi è suggestivamente vicina alla delicatezza della pagina letteraria, senza perciò tradire il mezzo elettivo. Memorabile il carrello a precedere del protagonista in bici a fondo valle, immerso nelle scenografie naturali altrettanto naturalmente che nel commento musicale classico. In modi periferici e marginali l'autore lombardo aggancia il cuore di una deriva, in cui riconoscere un quotidiano che in forme diverse accomuna tutti. Un capolavoro di sensibilità artistica, intuito e tradotto alla perfezione.

Lilli, interamente girato in Oltrepo, racconta la storia di Giancarlo, un ragazzo “particolare” che vive con la madre e il suo cane Lilli tra le colline, cui un giorno un incidente cambia la vita. Una produzione La città Incantata, Lilli è stato girato con un budget bassissimo grazie all’impegno volontario di diversi professionisti del settore che hanno prestato la propria professionalità gratuitamente. Il mediometraggio “Lilli” del regista Filippo Ticozzi, prodotto dalla società di produzione pavese La Città Incantata, in collaborazione con La Cooperativa Sociale La Piracanta, con il contributo di Provincia di Pavia, Comune di Pavia e Auser Comprensoriale di Pavia.

Ticozzi "sono molto felice di questo premio, grazie infinite. Lilli è il primo film che ho fatto e per il primo figlio si ha sempre un occhio di riguardo. Un cortometraggio fatto senza una lira, dove tutti hanno lavorato gratis, e fatto con quella meravigliosa incoscienza che poi, via via, si perde. Grazie tante a voi e a Cinemadonia. E grazie a Giancarlo (il non-attore protagonista), perno del film, che continua grande la sua via nel mondo."







Scivoli per la mente di Luigi Starace, realizzato con il contributo dell’A.Re.S Puglia da Stigmamente APS. Documentario presentato in occasione del Bari BiFest 2011 nella sezione Itinerari. Il documentario è il racconto della più grande campagna di prevenzione psichiatrica mai fatta in Puglia (4500 adolescenti pugliesi di 30 città coinvolti, il doppio in numero dell’ultima campagna ministeriale sullo stigma del 2004)




Testo di Geppe Inserra per Lettere Meridiane


Cinema che serve a documentare, ma anche a riflettere e a confrontarsi quello che si è visto alla Sala Farina, nell’apertura della sezione del Festival del Cinema Indipendente di Foggia, Cinema di Capitanata, riservata agli autori locali. E’ stato proiettato il documentario Scivoli per la mente(2011, 60’, Produzione Stigmamente Arte Media e Psichiatria) di Luigi Starace, vecchia conoscenza del festival di Foggia per essere stato per alcuni l’animatore de La mente al cinema, che raccoglieva e presentava al pubblico opere anche di fiction sul tema del disagio mentale e dello stigma.

Scivoli della mente racconta – senza mai appiattirsi sull’aspetto puramente cronachistico e con l’apporto di numerose testimonianze di studenti, docenti e psicologi – la positiva esperienza maturata nell’ambito della sanità pugliese con il progetto Stigma Mente, che vedeva lo stesso Starace tra i promotori, assieme al prof. Antonello Bellomo, docente di psichiatria all’università di Foggia. Finanziata dall’Ares Puglia, l’iniziativa proponeva discussioni ed approfondimenti sul tema dello stigma, ovvero il pregiudizio nei confronti dei disagiati psichici e più in generale dei diversi, in 70 scuole pugliesi distribuite su trenta comuni, a partire dalla visione di alcuni film e dalla lettura di alcuni testi sul tema del disagio.

I ragazzi delle scuole partecipanti hanno discusso con i loro docenti e con psicologi e psichiatri i temi proposti dai film e dai testi, ed in qualche caso il confronto ha permesso di far affiorare fenomeno di disagio presenti tra gli stessi ragazzi, che sarebbero rimasti altrimenti sommersi, mettendo i docenti nelle condizioni di poterli affrontare in classe.

Un progetto efficace che svela il volto di una buona sanità: un caso di successo – come sostiene in una intervista, durante il documentario, il dr. Ettore Attolini, dell’Ares Puglia – che spiega come la prevenzione rappresenti uno strumento molto efficace di promozione della salute.

Il tutto viene raccontato attraverso un sapiente montaggio, che alterna alle interviste ed alle riprese sul campo numerose inquadrature della cartoline postali fatte giungere a Starace nell’ambito di una iniziativa di mail art che qualche anno fa si svolse in collaborazione tra Starace ed il Festival del cinema indipendente di Foggia.

Il mediometraggio del regista sipontino ha anche il pregio di essere una testimonianza di cinema sul cinema e conferma, facendola toccare con mano e trasformandosi esso stesso in un veicolo di riflessione, la tesi che dicevamo all’inizio: il cinema è un ottimo strumento per far riflettere e per comunicare, anche e soprattutto su temi, come il disagio ed il pregiudizio verso la diversità, di difficile approccio.

Il titolo suggestivo è ricavato dalla riflessione dello psichiatra Marcello Nardini che conclude l’ottimo lavoro di Starace: parlando dell’atteggiamento negativo che generalmente la società ha verso quanti sono affatti da malattie e disturbi mentali, Nardini auspica la caduta delle barriere culturali che determinano lo stigma, così come negli ultimi decenni una più evoluta mentalità ha reso possibile che venissero abbattute le barriere architettoniche che rendevano difficili ai disabili attraversare e percorrere le strade. Bisognerebbe che oltre agli scivoli per le carrozzelle, venissero predisposti anche scivoli per la mente.

Hertz di Giovanni Sinopoli (https://www.facebook.com/gsinopoli) 

L’ambiente presenta dei suoni e dei rumori che difficilmente possono essere percepiti dall’orecchio umano. 
“Hertz” è la storia di Valentina, una violoncellista smarrita all’interno di un labirinto senza via d’uscita, il labirinto delle distorsioni uditive.Per evadere, Valentina perderà la ragione per scagliarsi violentemente nella distruzione del suo appartamento. Il battito del cuore e il respiro saranno per lei percepiti come esterni a se stessa, l'”essere” si sintetizzerà nel solo pensiero. Un film sperimentale poiché enfatizza le frequenze originate dall’ambiente circostante, cercando di riprodurre una “ipersensibilità dell’udito”.

  "Hertz" di Giovanni Sinopoli from {retrosys} on Vimeo.



L'isola analogica
Sinossi: L'Isola Analogica racconta alcune curiose vicende che hanno avuto luogo ad Alicudi, un'isola delle Eolie. Leggende, allucinazioni, usanze e superstizioni, causate dal consumo accidentale di segale cornuta, la pianta da cui si ricava l'LSD.



Ecco la motivazione che ha portato la giuria de La Mente al Cinema IV ed il premio come Miglior Scrittura per documentario:
L'isola analogica It. 2007 di Francesco G. Raganato (28'). Il capolavoro di Francesco G. Raganato (Copertino, 1978). 

Miglior Film alla IV Edizione del Festival del Cinema Invisibile di Lecce (2009), è stato realizzato - per ammissione dello stesso autore - con "una telecamerina e due lucette". Il miglior cinema emergente italiano dimostra profondo amore cinefilo. Malick ed Antonioni sono qui presenze di fondo, ma per cifra narrativa è piuttosto il Peter Weir degli esordi austrialiani a rivivere in questo film, che soprattutto nei suoni della natura (efficaci le musiche di Massimo Carozzi) si avvicina alle inquietudini de L'ultima onda. 
La fotografia, dello stesso regista, ed il montaggio connotativo di Johannes Hiroshi Nakajima individuano il punto di fusione fra storia e racconto, ibridando il come ed il cosa all'interno di una dialettica virtuosa, quintessenza della stessa idea di cinema. 
In certi passaggi ha la pregnanza dell'opera di genere, come nel grande esordio de L'anticristo (1974) di Alberto De Martino, che ugualmente legava il fantastico a radici di rimosso culturale, cioè appunto su base analogica. Frutto di una visione, segno di un talento registico purissimo, nel geco che circolarmente lo delinea esprime, forse, il disagio di una nostalgia narrativa che meriterebbe conforti produttivi adeguati.


VIDEO INTEGRALE






Francesco Giuseppe Raganato è un autore che ha trovato la propria risposta esistenziale e proposta visiva al dualismo fra l'esprit de finesse e l'esprit de géométrie. Francesco riesce a dire cose interessanti, trattare argomenti non consueti (quanto non francamente insoliti) e affascinare lo sguardo dello spettatore nella stessa opera. Francesco esprime un pensiero cinematografico, quindi complesso, dopo una lunga decantazione delle res humanae: prova ne è la bonomia con la quale sceglie di proporre la microstoria, filigrana di autentico sensibile talento.



1) Il momento in cui hai deciso che saresti diventato un regista
Quando a 10 anni mio padre in chiesa mi piazza in mano la telecamera per riprendere la prima comunione di mio fratello, poiché lui e mia madre dovevano accompagnarlo all’altare. Mi sono incantato a riprendere gli effetti di luce che filtravano dal rosone della navata centrale e ho perso il momento clou…

2) La tua idea di cinema
Raccontare storie che rimangano nella memoria collettiva.

3) Il modello di macchina con cui giri
A seconda delle produzioni cambiano i modelli di macchina; la mia preferita rimane sempre la storica Canon XL1s, anche se oggi giro solo con Canon 5d Mark II (ma con ottiche Nikon). Amo le immagini “pastose”.

4) Gli autori che ti hanno influenzato maggiormente
Quelli con uno stile immediatamente riconoscibile, ce ne sono tantissimi, ne cito solo tre internazionali (Malick, Haneke, Herzog) e tre italiani (Scola, Antonioni, Fellini)

5) Il film (altrui) che avresti voluto girare tu
Uno tra i tanti, “Una giornata particolare”, credo sia un gioiello di misura e profondità, con Mastroianni e la Loren in stato di grazia e movimenti di macchina semplici e poetici.

6) Il tuo spettatore ideale
Quello che non si accontenta (e che dopo mi viene a fare le domande)

7) La volta in cui avresti voluto mollare tutto (e il motivo per cui non l’hai fatto)
Penso di mollare tutto abbastanza spesso, tra un lavoro e l’altro soprattutto, poi però penso che non sarei veramente capace di fare null’altro e non mollo. Ma e’ dura, molto.

8) Un regista emergente che consiglieresti
Piu’ che “un regista” consiglio “una regista”, Chiara Idrusa Scrimieri, salentina, i suoi lavori hanno una leggerezza che le invidio molto.

9) Il progetto a cui stai lavorando in questo momento
Un documentario per Rai3 girato a Zamboanga nel sud delle Filippine, dove c’è un signore italiano che ha avuto un’idea utopica quanto fallimentare (ma sostanzialmente molto buffa): insegnare lingua, cultura e cucina italiana nel bel mezzo della giungla equatoriale. Mi fa pensare al Fitzcarraldo di Herzog…

10) Un giudizio su CinemaDonia
Buongustai, non c’è che dire. 


Filmografia su Cinema Italiano

“Ricordatevi, non esiste il cibo a basso costo, se esiste è perché qualcun altro ne ha già pagato parte del prezzo”

Vincitore del Progetto MigrArti 2017 Miglior regia di Michele Cinque
Jululu è un viaggio musicale in un angolo di Africa nel sud Italia, nelle vaste piane coltivate a pomodoro nella provincia di Foggia. Badara Seck, musicista griot senegalese, come una guida sciamanica, attraversa questi luoghi alla ricerca di Jululu, l’anima collettiva africana, fino ad arrivare in uno dei ghetti dove si riversano i lavoratori agricoli immigrati per la stagione della raccolta.
"Solo poco più di un mese fa si concluse con undici persone condannate, con una sentenza in primo grado della Corte d’Assise di Lecce, l’inchiesta SABR del procuratore aggiunto Elsa Valeria Mignone e dei Carabinieri del Ros nata nel 2008 e terminata nel 2011 in concomitanza della rivolta nella masseria Boncuri con a capo Yvan Sagnet, a Nardò in provincia di Lecce. La sentenza del presidente Roberto Tanisi, la prima in Italia per “riduzione in schiavitù”, conferì agli imputati undici anni di reclusione e l’interdizione dagli pubblici uffici."
qui approfondimento sui temi: http://www.lagazzettameridionale.com/…/venezia-mostra-del-c…


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