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Scivoli per la mente di Luigi Starace, realizzato con il contributo dell’A.Re.S Puglia da Stigmamente APS. Documentario presentato in occasione del Bari BiFest 2011 nella sezione Itinerari. Il documentario è il racconto della più grande campagna di prevenzione psichiatrica mai fatta in Puglia (4500 adolescenti pugliesi di 30 città coinvolti, il doppio in numero dell’ultima campagna ministeriale sullo stigma del 2004)




Testo di Geppe Inserra per Lettere Meridiane


Cinema che serve a documentare, ma anche a riflettere e a confrontarsi quello che si è visto alla Sala Farina, nell’apertura della sezione del Festival del Cinema Indipendente di Foggia, Cinema di Capitanata, riservata agli autori locali. E’ stato proiettato il documentario Scivoli per la mente(2011, 60’, Produzione Stigmamente Arte Media e Psichiatria) di Luigi Starace, vecchia conoscenza del festival di Foggia per essere stato per alcuni l’animatore de La mente al cinema, che raccoglieva e presentava al pubblico opere anche di fiction sul tema del disagio mentale e dello stigma.

Scivoli della mente racconta – senza mai appiattirsi sull’aspetto puramente cronachistico e con l’apporto di numerose testimonianze di studenti, docenti e psicologi – la positiva esperienza maturata nell’ambito della sanità pugliese con il progetto Stigma Mente, che vedeva lo stesso Starace tra i promotori, assieme al prof. Antonello Bellomo, docente di psichiatria all’università di Foggia. Finanziata dall’Ares Puglia, l’iniziativa proponeva discussioni ed approfondimenti sul tema dello stigma, ovvero il pregiudizio nei confronti dei disagiati psichici e più in generale dei diversi, in 70 scuole pugliesi distribuite su trenta comuni, a partire dalla visione di alcuni film e dalla lettura di alcuni testi sul tema del disagio.

I ragazzi delle scuole partecipanti hanno discusso con i loro docenti e con psicologi e psichiatri i temi proposti dai film e dai testi, ed in qualche caso il confronto ha permesso di far affiorare fenomeno di disagio presenti tra gli stessi ragazzi, che sarebbero rimasti altrimenti sommersi, mettendo i docenti nelle condizioni di poterli affrontare in classe.

Un progetto efficace che svela il volto di una buona sanità: un caso di successo – come sostiene in una intervista, durante il documentario, il dr. Ettore Attolini, dell’Ares Puglia – che spiega come la prevenzione rappresenti uno strumento molto efficace di promozione della salute.

Il tutto viene raccontato attraverso un sapiente montaggio, che alterna alle interviste ed alle riprese sul campo numerose inquadrature della cartoline postali fatte giungere a Starace nell’ambito di una iniziativa di mail art che qualche anno fa si svolse in collaborazione tra Starace ed il Festival del cinema indipendente di Foggia.

Il mediometraggio del regista sipontino ha anche il pregio di essere una testimonianza di cinema sul cinema e conferma, facendola toccare con mano e trasformandosi esso stesso in un veicolo di riflessione, la tesi che dicevamo all’inizio: il cinema è un ottimo strumento per far riflettere e per comunicare, anche e soprattutto su temi, come il disagio ed il pregiudizio verso la diversità, di difficile approccio.

Il titolo suggestivo è ricavato dalla riflessione dello psichiatra Marcello Nardini che conclude l’ottimo lavoro di Starace: parlando dell’atteggiamento negativo che generalmente la società ha verso quanti sono affatti da malattie e disturbi mentali, Nardini auspica la caduta delle barriere culturali che determinano lo stigma, così come negli ultimi decenni una più evoluta mentalità ha reso possibile che venissero abbattute le barriere architettoniche che rendevano difficili ai disabili attraversare e percorrere le strade. Bisognerebbe che oltre agli scivoli per le carrozzelle, venissero predisposti anche scivoli per la mente.

Metabar di Giorgio Laveri 

 Metabar, il lungometraggio diretto da Giorgio Laveri, segna i 10 anni di storia del Giardino del Mago, espressione della collaborazione fra ospiti e operatori delle strutture residenziali di Pratozanino (Cogoleto) e il gruppo artistico di Savona. La storia di Metabar è un racconto di vita ai margini, dove a fare da sfondo sono gli edifici ormai abbandonati dello storico ospedale psichiatrico sulle alture di Genova, che negli anni ’60 accoglieva più di 2000 pazienti. La realizzazione del film si è rivelata un lavoro duro e focalizzato su nodi esistenziali e sociali capaci di mettere in crisi le comode coordinate della normalità. Il film é un esperimento originale ed importante, che ha visto coinvolte più di 60 persone, e rappresenta un percorso di ripresa di autonomia, di valore e di relazioni arricchenti dentro il rinnovamento delle pratiche psichiatriche.





Paquita y todo le demàs di David Moncasi (http://www.paquitaytodolodemas.com). 
“They say the worse that can happen to a mother is to lose a child. I do not agree: it is much worse to have a sick child with no hope of recovery and see him suffer every day”.



Paquita is telling us this, a 62 year old woman whose son is schizophrenic. Paquita and Cristian open the doors to their world though their own filming. The outcome is a moving and rue portrait of how it is to live with a mentally disturbed member in the family.



PAQUITA Y TODO LO DEMÁS (2010) from david moncasi on Vimeo.



L'isola analogica
Sinossi: L'Isola Analogica racconta alcune curiose vicende che hanno avuto luogo ad Alicudi, un'isola delle Eolie. Leggende, allucinazioni, usanze e superstizioni, causate dal consumo accidentale di segale cornuta, la pianta da cui si ricava l'LSD.



Ecco la motivazione che ha portato la giuria de La Mente al Cinema IV ed il premio come Miglior Scrittura per documentario:
L'isola analogica It. 2007 di Francesco G. Raganato (28'). Il capolavoro di Francesco G. Raganato (Copertino, 1978). 

Miglior Film alla IV Edizione del Festival del Cinema Invisibile di Lecce (2009), è stato realizzato - per ammissione dello stesso autore - con "una telecamerina e due lucette". Il miglior cinema emergente italiano dimostra profondo amore cinefilo. Malick ed Antonioni sono qui presenze di fondo, ma per cifra narrativa è piuttosto il Peter Weir degli esordi austrialiani a rivivere in questo film, che soprattutto nei suoni della natura (efficaci le musiche di Massimo Carozzi) si avvicina alle inquietudini de L'ultima onda. 
La fotografia, dello stesso regista, ed il montaggio connotativo di Johannes Hiroshi Nakajima individuano il punto di fusione fra storia e racconto, ibridando il come ed il cosa all'interno di una dialettica virtuosa, quintessenza della stessa idea di cinema. 
In certi passaggi ha la pregnanza dell'opera di genere, come nel grande esordio de L'anticristo (1974) di Alberto De Martino, che ugualmente legava il fantastico a radici di rimosso culturale, cioè appunto su base analogica. Frutto di una visione, segno di un talento registico purissimo, nel geco che circolarmente lo delinea esprime, forse, il disagio di una nostalgia narrativa che meriterebbe conforti produttivi adeguati.


VIDEO INTEGRALE






Francesco Giuseppe Raganato è un autore che ha trovato la propria risposta esistenziale e proposta visiva al dualismo fra l'esprit de finesse e l'esprit de géométrie. Francesco riesce a dire cose interessanti, trattare argomenti non consueti (quanto non francamente insoliti) e affascinare lo sguardo dello spettatore nella stessa opera. Francesco esprime un pensiero cinematografico, quindi complesso, dopo una lunga decantazione delle res humanae: prova ne è la bonomia con la quale sceglie di proporre la microstoria, filigrana di autentico sensibile talento.



1) Il momento in cui hai deciso che saresti diventato un regista
Quando a 10 anni mio padre in chiesa mi piazza in mano la telecamera per riprendere la prima comunione di mio fratello, poiché lui e mia madre dovevano accompagnarlo all’altare. Mi sono incantato a riprendere gli effetti di luce che filtravano dal rosone della navata centrale e ho perso il momento clou…

2) La tua idea di cinema
Raccontare storie che rimangano nella memoria collettiva.

3) Il modello di macchina con cui giri
A seconda delle produzioni cambiano i modelli di macchina; la mia preferita rimane sempre la storica Canon XL1s, anche se oggi giro solo con Canon 5d Mark II (ma con ottiche Nikon). Amo le immagini “pastose”.

4) Gli autori che ti hanno influenzato maggiormente
Quelli con uno stile immediatamente riconoscibile, ce ne sono tantissimi, ne cito solo tre internazionali (Malick, Haneke, Herzog) e tre italiani (Scola, Antonioni, Fellini)

5) Il film (altrui) che avresti voluto girare tu
Uno tra i tanti, “Una giornata particolare”, credo sia un gioiello di misura e profondità, con Mastroianni e la Loren in stato di grazia e movimenti di macchina semplici e poetici.

6) Il tuo spettatore ideale
Quello che non si accontenta (e che dopo mi viene a fare le domande)

7) La volta in cui avresti voluto mollare tutto (e il motivo per cui non l’hai fatto)
Penso di mollare tutto abbastanza spesso, tra un lavoro e l’altro soprattutto, poi però penso che non sarei veramente capace di fare null’altro e non mollo. Ma e’ dura, molto.

8) Un regista emergente che consiglieresti
Piu’ che “un regista” consiglio “una regista”, Chiara Idrusa Scrimieri, salentina, i suoi lavori hanno una leggerezza che le invidio molto.

9) Il progetto a cui stai lavorando in questo momento
Un documentario per Rai3 girato a Zamboanga nel sud delle Filippine, dove c’è un signore italiano che ha avuto un’idea utopica quanto fallimentare (ma sostanzialmente molto buffa): insegnare lingua, cultura e cucina italiana nel bel mezzo della giungla equatoriale. Mi fa pensare al Fitzcarraldo di Herzog…

10) Un giudizio su CinemaDonia
Buongustai, non c’è che dire. 


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