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Articles by "antropologia culturale"


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1968, Dagenham, Essex. La fabbrica della Ford dà lavoro a 55mila operai e a 187 donne, addette alla cucitura dei sedili per auto in un'ala fatiscente, dove si muore di caldo e piove dentro. In seguito ad una ridefinizione professionale ingiusta e umiliante, che le vorrebbe "non qualificate", le operaie danno vita con uno sciopero ad oltranza alla paralisi dell'industria e alla prima grande rivendicazione che porterà alla legge sulla parità di retribuzione.


Cinema dei diritti
"Siamo donne, non potete farci domande cosi banali!"

Gli uomini escono con le ossa rotte dalla visione della commedia british che di vintage ha l'ambientazione e i costumi, ma non le istanze di un uguaglianza che fatica ancor oggi a compiersi, basti pensare ai diritti per la gravidanza che partono dalla "tolleranza" del privato verso la maternità delle assunte. Sono ancora vive le testimonianze della giornata contro la violenza sulle donne.




Il film con leggerezza stempera il conflitto fra i sessi a partire dall'ambiguità del titolo, che sintetizza bene il non detto dell'universo maschile in risposta alle richieste di parità.









First episode of the first official season of The FREQ Show! In this premiere episode (which also features The FREQ Show's new shorter, more focused format), we examine the issue of "marketplace feminism." Is there a problem with corporations marketing certain shoes, yogurt, or breakfast cereal as inherently "feminist" or "empowering"? Anita breaks it down for you in Feminism for Sale in Aisle 4!


Today, Iran’s strict Islamic culture would never allow such scantily clad women to appear on posters like this (even if they are not real photographs.
Seen here are posters for 1972’s Mehdi in Black and Hot Mini Pants, a Persian romance film, and The Golden Heel from 1975.



La terra dei Santi (2013) esordio nei lungometraggi del regista Fernando Muraca. Visione antropologica al femminile della ‘ndrangheta 
di Luigi Starace


IL film ha vinto il festival di Valence in Francia nel 2016 con la seguente motivazione “La giuria si è dimostrata sensibile all’estetica del film, nonché al coraggio del regista che ha affrontato un tema delicato in Italia: la mafia calabrese. Complimenti!”

Manfredonia – E’ una bella giornata di sole autunnale e Siponto in questo periodo, in una anonima domenica di fine ottobre, appare ancora più radiosa. Raggiungiamo Fernando Muraca nel suo albergo; ci accoglie con un sorriso, manipolando fra le mani uno strano aggeggio color piombo: “E’ un antistress che mi ha regalato mio figlio” commenta. Di lì a poco avrei notato che non ne avrebbe fatto largo uso, perlomeno in nostra presenza: “buon segno” penso fra me e me, vuol dire che non lo stiamo annoiando.

Partiamo dal film, perché La Terra dei Santi, perché Manfredonia? 

“Sono cinque anni che lavoro a questo film, ho iniziato con la collaborazione di Monica Zapelli, sceneggiatrice de “I cento passi”. La trama vede protagoniste tre donne, un giudice, la moglie di un boss e sua sorella. Il film che parla di ‘ndrangheta non vuole raccontare tanto i traffici e le gesta di questa organizzazione ma vuole dare una visione antropologica del fenomeno: perché una donna meridionale che darebbe la vita per il proprio figlio, decide ad un certo punto di “donarlo” all’organizzazione mafiosa? Il film doveva essere girato in Calabria ma lì abbiamo trovato le porte chiuse, qui in Puglia invece avete una bella realtà, l’Apulia Film Commission accoglie e sponsorizza molto volentieri progetti di questo genere, così abbiamo trovato terreno fertile per la realizzazione del progetto. La scelta di Manfredonia è stata dettata da una ragione molto semplice: morfologicamente la vostra città assomiglia molto a Vibo Valentia, dove sono nato. Manfredonia con il suo paesaggio, il mare, il promontorio garganico mi ricorda molto i luoghi dove ho trascorso la mia infanzia e dove è ambientato il film”.


A parte le similitudini morfologiche, cosa accomuna noi manfredoniani agli abitanti di Vibo Valentia, dal punto di vista antropologico?

 “Tutte le popolazioni meridionali sono accomunate da una grande sofferenza, quella di vivere in territori che sono sottoposti ad una grande violenza che si chiama mafia, che impedisce loro di esercitare appieno la propria libertà. Nelle nostre città, non siamo pari, c’è chi ha più libertà di intraprendere e c’è chi invece deve rendere conto ad altri per mettere a frutto i propri talenti. In Calabria, Sicilia, Campania, Puglia le mafie hanno il loro quartier generale che poi diffonde i suoi tentacoli in tutta Europa. Il sistema mafioso si sostituisce allo Stato, garantendo ai propri affilati sicurezza e divenendo, in un certo senso, un sistema di collocamento a tal punto che, come dicevo, anche le donne sono portate in modo acritico ad accettarne le regole immolando i propri figli”.


Parliamo di Fernando Muraca, quando nasce la sua vocazione? 

“La mia storia di professionista del cinema è legata alle mie scelte di vita. Non ho mai avuto questo sogno da bambino, è capitato. Ho imparato fin da piccolo a mettere a frutto i miei talenti, sono convinto che se compi questo esercizio progettualmente alla fine questo porta alla piena realizzazione dei propri sogni. Stavo girando il mio primo cortometraggio, ad un certo punto dovevo riprendere il volto della protagonista, mentre giravo mi sono reso conto che non mi vedevo più, ero completamente immerso nell’attimo presente. Questo ha provocato in me una gioia immensa, di piena realizzazione, così ho pensato: se questa cosa mi rende così felice vuol dire che questa è la mia vocazione”.
Riprese film 'La Terra dei Santi'; scene girate in Piazzetta (ph: Luigi Starace)
Riprese film ‘La Terra dei Santi’; scene girate in Piazzetta (ph: Luigi Starace)

Qual è il film che ha girato che porta sempre nel cuore, il figlio prediletto?

 “Il primo e l’ultimo, questo che sto girando adesso. Nel mio primo cortometraggio “Ti porto dentro”, ho rappresentato tutti i semi di una poetica che poi avrei sviluppato nel tempo in tutti i miei lavori. Ti porto dentro racconta la storia della buona morte: che cosa succede ad un uomo quando giunge alla fine della sua vita e deve abbandonare questa terra? Ero andato al funerale di una persona, che mi colpì profondamente; quel momento sembrava una festa, si viveva sì il dolore del distacco ma al contempo quel giorno ci diceva di un uomo che passando nel mondo, aveva lasciato cose meravigliose. Ispirandomi a questo momento ho scritto una storia d’amore che doveva realizzarsi proprio nel momento in cui la vita finisce”.

C’è stato qualche momento in particolare nella sua vita durante il quale avrebbe preferito mollare tutto e fare un passo indietro? 


“Il mondo del cinema, si sa, ha delle dinamiche molto complesse, è dura, e a volte i tempi non sono maturi per accogliere e apprezzare il tuo lavoro. Sì, ho attraversato un momento di sofferenza molto particolare, è difficile capire cosa fare quando finalmente sei riuscito a realizzare il sogno della tua vita (diventare regista ndr) e sei convinto di aver realizzato un buon prodotto che però viene rifiutato in tutti i festival in cui lo presenti. E’ quello che è capitato a me; non riuscivo a capire perché il mio film veniva rifiutato ovunque lo presentassi anche se si trattava di un buon lavoro. In quel momento di crisi sono stato spinto ad andare avanti, mi ha aiutato molto la fede, il mio rapporto epistolare con Chiara Lubich (fondatrice e leader del Movimento dei Focolari), conclusione se non avessi perseverato e avessi abbandonato tutto, ora non sarei qui. Cinque anni più tardi, lo stesso film ha riscosso un successo non indifferente. Semplicemente quando lo avevo presentato la prima volta la critica e il pubblico non erano pronti ad accoglierlo. Nel nostro lavoro a volte accade di anticipare i tempi, bisogna solo saper aspettare”.

So che lei ha una grande fede, come si può riuscire nel mondo di oggi, a trasmettere il volto di Dio attraverso un film? 

“L’uomo è un essere dotato di interiorità, a questa cosa ognuno di noi dà un nome, c’è chi la riferisce a Dio, chi ad un’altra entità. Io ho ricevuto una formazione cristiana, sono nato in Calabria e qui l’essere cristiano è qualcosa di naturale. Quindi il fatto di essere cristiano è prima di tutto legato a questo. Mi identifico nei valori della famiglia, dell’amicizia, dell’accoglienza che secondo me sono alla base di ogni comunità sociale e questo non può essere ininfluente nelle mie opere. Cerco di immettere nelle mie opere un senso spirituale, qualcosa che rimandi a qualcos’altro che non vediamo e che non si può descrivere. Quando racconto le storie, cerco l’uomo e Gesù è l’uomo. Dio è nelle persone che incontro, nei miei collaboratori, nei miei personaggi. Essere credente significa provare un amore sconfinato per l’uomo”.

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L’opera prima, prodotta da Kinesis Film con il sostegno di Apulia Film Commission, è stata riconosciuta di interesse culturale e realizzata con il contributo della Direzione Generale per il Cinema. 
Interpreti principali:
Valeria Solarino, Lorenza Indovina, Daniela Marra, Ninni Bruschetta e Francesco Colella.
Le riprese, iniziate a Manfredonia (FG) lo scorso 14 ottobre, si sono concluse il 9 novembre. Nel corso dell’incontro il regista Muraca ha evidenziato la volontà di un racconto “utile a quelle donne,a quelle famiglie che non sono riuscite ad interrogarsi sull’affidamento dei propri figli alla criminalità organizzata, nonostante questo avrebbe potuto significare la perdita dei propri cari”. “Manfredonia – ha detto il regista – è stata scelta dopo una visione della struttura della città, a partire dalla presenza del porto”.
Il film è stato girato interamente a Manfredonia dopo il diniego delle APF della Sicilia e della Calabria




La postmodernità è una cultura globalizzata iper-tecnologizzata, caratterizzata dalla riproducibilità tecnica delle merci, dagli esordi delle teorie dell’informazione, dalle trasformazioni nella concezione dell’umano, dall’opera sul sociale dei simulacri e dalla liquefazione dei blocchi costitutivi della modernità tra le variabili. La postmodernità si sviluppa con la crisi del paradigma moderno e postindustriale dopo gli Anni Settanta.

L’attività di ricerca del Dott. Paolo Cianconi, con il gruppo nato in ambito delle spedizioni etnopsichiatriche, si serve degli stessi strumenti d’indagine messi a punto nelle ricerche con le culture tradizionali o in via di modernizzazione. 


La ricerca in quest’ampio settore psicosociale e antropologico è simile alla ricerca classica che si può condurre sul campo della differenza culturale; la postmodernità è, infatti, una cultura diversa che subentra ai codici fordisti (paradigma industriale che prevede come stampo culturale una società basata sull’industria e sulla “catena di montaggio” come organizzazione del tempo, degli spazi, delle classi, dei valori, della costruzione delle relazioni nell’individuo e nei gruppi). 




Si può, quindi, approcciare la postmodernità con le tecniche di esame dell’alterità che ci offrono la sociologia, l’antropologia, la psicologia, la psichiatria sociale, la medicina, la fisica, la biologia, le scienze dell’informazione, l’hi-tech, l’estetica e l’arte contemporanea. L’ambito interdisciplinare è fondamentale.




L'autore
Paolo Cianconi è medico psichiatra, psicoterapeuta, antropologo. Lavora presso la Casa Circondariale di Regina Coeli, ASL Roma A. Svolge attività di ricerca e di docenza presso numerosi istituti sulle tematiche della psichiatria clinica, della psicologia sociale, della devianza e della marginalità, dell'etnopsichiatria e della psicologia della postmodernità. Si occupa dello studio delle "sindromi mutanti" della globalizzazione e dei dispositivi terapeutici tradizionali. Ha compiuto spedizioni di ricerca etnopsichiatrica in diverse realtà nazionali e internazionali nei luoghi a rischio di collasso culturale e di disgregazione identitaria, quali ad esempio le riserve indio, favelas e barrios. È direttore scientifico del master di Etnopsichiatria dell’Istituto Beck di Roma. È formatore in diversi master e scuole di psicoterapia in Italia.

Recensione a cura di Luigi Starace
Francesca
di Bobby Paunescu – Romania, 96′
v.o. rumeno – s/t italiano, inglese
Monica Birladeanu, Doru Boguta, Teo Corban

Film in concorso nella sezione ORIZZONTI –66. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia

Sinossi:
Francesca è una giovane maestra d’asilo che sogna di emigrare in Italia. Nella speranza di una vita migliore, la giovane è pronta ad affrontare qualunque ostacolo, persino i dubbi e le preoccupazioni delle persone che le sono vicine. Il piano prevede che Mita, il suo ragazzo, la raggiunga in Italia non appena porterà a termine un piccolo affare in cui è coinvolto. Ma le cose prendono una piega infelice, vengono alla luce penose verità e le priorità cambiano.

Togliamo subito la curiosità: si è il film che non può essere ancora distribuito nelle sale italiane per via di un contenzioso legale vertente su alcune frasi offensive rivolte a politici italiani. Noi l’abbiamo visto alla 66esima Mostra del Cinema di Venezia. La distribuzione italiana attende quindi il responso del giudice sull’obbligo o meno di cambiare il doppiaggio italiano. Qualunque sarà la decisione, non cambierà la sostanza delle considerazioni argomento di quest’articolo.

Certo a essere sinceri una prima riflessione diventa proprio questa querelle/querela (o querela versus querelle?): gli italiani 2.0 non sono solo quelli della pizza mandolino e mafia. Non solo, almeno. C’è il sesso, ma questo è noto in Europa dagli anni 60 quando anche le giunoniche ekberg s’immergevano piacevolmente negli acquosi fluidi italiani di cellulosa. Ora c’è anche, si parla naturalmente di stereotipi, anche l’intolleranza e lo sfruttamento. Questa “idea diffusa” scorre lungo tutto il film e diventa uno dei buoni motivi per parlarne. Ebbene occorre ammetterlo: ora anche gli italiani sono odiati all’estero. Il nostro 2.0: perdita di due lunghezze fuori casa, per usare una metafora sportiva.


Non sono tanti i film distribuiti in Italia che parlano del nostro lato oscuro: nell’America di Amelio gli italiani andavano in Albania per intascare gli incentivi e poi non far nulla. Erano gli anni del dopo sbarco a Bari. Ora la leva, sempre economica, dello sfruttamento è l’assistenza domiciliare degli anziani. Sarà davvero solo uno stereotipo? Le statistiche che danno il disinteresse all’integrazione dei giovani italiani al 40% circa, pure?

Francesca, volto già noto agli appassionati di Lost, ha una casa, ha un lavoro e ha una famiglia. Si ha anche un fidanzato focoso che non è italiano, sorry. E’ diversa dai nostri nonni veneti, piemontesi, pugliesi, lucani, siciliani… Non vuole emigrare per mangiare. Vuol farlo per migliorare, evolversi e idealisticamente (ma coerentemente con la sua giovane età) condividere il suo “surplus” con il suo gruppo sociale d’origine. Francesca riuscirà a mettersi in viaggio, ma sarà costretta a fare (o meglio subire) una scelta fra il progresso e gli affetti.




Il film ha un ritmo lento, quasi da fiction, ravvivato da una fotografia quanto più possibile naturalistica. Le ambientazioni quotidiane e le situazioni di vita mostrate fanno pensare al tentativo di una narrazione affine al neorealismo, ma non sarebbe corretto affermarlo perché il messaggio finale, amaro più che tragico è quello del rimanere perché il cuore ti costringe. Non esprit de finesse, tuttavia, ma pragmatismo d’affetti in un tutto scorre di cui però il singolo non riesce a percepire il movimento, cosi il film Francesca inizialmente molto ben comprensibile a chi vive nel Mezzogiorno, termina con la nascita della borghesia rumena. E la borghesia ovunque si vada è sempre la stessa…





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