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Articles by "etnopsichiatria"



Stagione di Prosa a Manfredonia: avvio intenso e civile con L’estranea di casa

La stagione di prosa è cominciata con un ottimo afflusso di pubblico e un testo denso, impegnato e scuotente le coscienze: il mondo (in)visibile per noi italiani delle badanti dell’Est Europa. L’estranea di casa non fa sconti: messa in scena minima, luci essenziali e forte presenza scenica della protagonista. Non c’è molto da produrre come pensiero, serve solo ascoltare ed entrare nella vita da quella sociale a quella interna dell’animo di LuminiÅ£ia, insegnante rumena che riceverà una dolorosa lezione dalla vita. Le due famiglie, quella propria e quella dell’assistita, vengono sottoposte a forze centrifughe e i rapporti fra i vari membri si trasformano da resilienti in entropici.

Allo spettatore spetta decidere se condividere lo status migratorio ed emotivamente migrante della neo badante dell’anziana signora Chella oppure scegliere di non vedere, di giustificare le istanze di una madre con un pragmatismo italo-centrato. L’estranea di casa riesce a smuovere, è incisiva. Racconta l’oggi postmoderno e andrebbe proposto nelle scuole, per far maturare una visione più ampia della realtà sociale, non limitata alla geografia virtuale dei confini nazionali (che non esistono più).

L’Italia ha avuto milioni di migranti eppure si parla di “sindrome italiana” per le badanti che vi vengono a lavorare: le badanti spesso quando tornano in patria e cadono in depressione. Il lavoro del caregiver è di per sé logorante e bisognoso di pause e momenti di scarico emotivi; se si aggiunge lo stress delle condizioni spesso terminali degli assistiti il peso aumenta. E questo sarebbe il lavoro, poi le difficoltà di essere stranieri in terra che non fa sentire più cosi accolti gli stranieri, anche se vengono a lavare non solo i nostri ammalati ma spesso anche la nostra coscienza collettiva.


“La Signora conta le malattie e io i suoi anni. Lei trattiene la mia giovinezza, io cullo la sua vecchiaia.”
Tetyana Kochetygova, badante e poetessa dal libro Il Paese delle badanti, Francesco Vietti


L’estranea di casa con Raffaella Giancipoli, video animazioni Beatrice Mazzone, spazio scenico Bruno Soriato, disegno luci Tea Primiterra, assistente alla regia Annabella Tedone, consulenza linguistica Nina Balan, regia e drammaturgia Raffaella Giancipoli.

E’ uno spettacolo di Kuziba, produzione Compagnia Bottega degli Apocrifi con il sostegno di Sillumina.




La postmodernità è una cultura globalizzata iper-tecnologizzata, caratterizzata dalla riproducibilità tecnica delle merci, dagli esordi delle teorie dell’informazione, dalle trasformazioni nella concezione dell’umano, dall’opera sul sociale dei simulacri e dalla liquefazione dei blocchi costitutivi della modernità tra le variabili. La postmodernità si sviluppa con la crisi del paradigma moderno e postindustriale dopo gli Anni Settanta.

L’attività di ricerca del Dott. Paolo Cianconi, con il gruppo nato in ambito delle spedizioni etnopsichiatriche, si serve degli stessi strumenti d’indagine messi a punto nelle ricerche con le culture tradizionali o in via di modernizzazione. 


La ricerca in quest’ampio settore psicosociale e antropologico è simile alla ricerca classica che si può condurre sul campo della differenza culturale; la postmodernità è, infatti, una cultura diversa che subentra ai codici fordisti (paradigma industriale che prevede come stampo culturale una società basata sull’industria e sulla “catena di montaggio” come organizzazione del tempo, degli spazi, delle classi, dei valori, della costruzione delle relazioni nell’individuo e nei gruppi). 




Si può, quindi, approcciare la postmodernità con le tecniche di esame dell’alterità che ci offrono la sociologia, l’antropologia, la psicologia, la psichiatria sociale, la medicina, la fisica, la biologia, le scienze dell’informazione, l’hi-tech, l’estetica e l’arte contemporanea. L’ambito interdisciplinare è fondamentale.




L'autore
Paolo Cianconi è medico psichiatra, psicoterapeuta, antropologo. Lavora presso la Casa Circondariale di Regina Coeli, ASL Roma A. Svolge attività di ricerca e di docenza presso numerosi istituti sulle tematiche della psichiatria clinica, della psicologia sociale, della devianza e della marginalità, dell'etnopsichiatria e della psicologia della postmodernità. Si occupa dello studio delle "sindromi mutanti" della globalizzazione e dei dispositivi terapeutici tradizionali. Ha compiuto spedizioni di ricerca etnopsichiatrica in diverse realtà nazionali e internazionali nei luoghi a rischio di collasso culturale e di disgregazione identitaria, quali ad esempio le riserve indio, favelas e barrios. È direttore scientifico del master di Etnopsichiatria dell’Istituto Beck di Roma. È formatore in diversi master e scuole di psicoterapia in Italia.



L'isola analogica
Sinossi: L'Isola Analogica racconta alcune curiose vicende che hanno avuto luogo ad Alicudi, un'isola delle Eolie. Leggende, allucinazioni, usanze e superstizioni, causate dal consumo accidentale di segale cornuta, la pianta da cui si ricava l'LSD.



Ecco la motivazione che ha portato la giuria de La Mente al Cinema IV ed il premio come Miglior Scrittura per documentario:
L'isola analogica It. 2007 di Francesco G. Raganato (28'). Il capolavoro di Francesco G. Raganato (Copertino, 1978). 

Miglior Film alla IV Edizione del Festival del Cinema Invisibile di Lecce (2009), è stato realizzato - per ammissione dello stesso autore - con "una telecamerina e due lucette". Il miglior cinema emergente italiano dimostra profondo amore cinefilo. Malick ed Antonioni sono qui presenze di fondo, ma per cifra narrativa è piuttosto il Peter Weir degli esordi austrialiani a rivivere in questo film, che soprattutto nei suoni della natura (efficaci le musiche di Massimo Carozzi) si avvicina alle inquietudini de L'ultima onda. 
La fotografia, dello stesso regista, ed il montaggio connotativo di Johannes Hiroshi Nakajima individuano il punto di fusione fra storia e racconto, ibridando il come ed il cosa all'interno di una dialettica virtuosa, quintessenza della stessa idea di cinema. 
In certi passaggi ha la pregnanza dell'opera di genere, come nel grande esordio de L'anticristo (1974) di Alberto De Martino, che ugualmente legava il fantastico a radici di rimosso culturale, cioè appunto su base analogica. Frutto di una visione, segno di un talento registico purissimo, nel geco che circolarmente lo delinea esprime, forse, il disagio di una nostalgia narrativa che meriterebbe conforti produttivi adeguati.


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