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Articles by "postmodernita"

In un futuro lontano l'uomo sapiens ha determinato il suo futuro e creato una nuova subspecie potenziata, geneticamente migliorata e potenzialmente più evoluta. Sembra il sogno transhuman odierno, invece è il cardine del romanzo Il viaggio dello Star Wolf di David Gerrold edito per la prima volta nel 1990. Millecinquecento anni di evoluzione per i "Morethan" ossia i more than human, gli oltre umani, o ultra umani per citare una delle tante serie degli X-Men dei primi anni 2000.

La specie dei Morethan, altezza media quasi 3 metri, ha scelto di amplificare dei tratti genetici fisici molto alfa per cui alcuni di loro possono stare nello spazio senza respirare per minuti, alcuni di loro hanno optato per qualcosa di simile a delle zanne (anche in varietà tiger tipo tigre dai denti a sciabola). L'assetto societario gerarchico ricorda molto quello dei Klingon mentre la morale è sovrapponibile a quella del profitto dei Ferengi. Inoltre applicano Sun Tzu e l'arte della guerra meglio degli umani. Sono asessuati, quindi non disperdono energie in corteggiamenti e rituali di accoppiamento e vengono concepiti in incubatrici dopo selezione genetica. Incarnano il sogno o incubo, a seconda delle prospettive, oggetto già oggi di discussione fra i futurologi. Il romanzo che viene identificato nel sottogenere di fantascienza tecnologica offre diversi spunti di riflessione sull'eugenetica applicata all'efficienza, cosi come illustra bene la psicologia del piccolo gruppo di umani costretti ad essere molto resilienti per sopravvivere.

La trama in breve: L’astronave LS-1187 è un incrociatore interstellare che non ha mai partecipato a una vera e propria battaglia. La sua prima missione (unirsi a un convoglio di mille navi per proteggere i mondi esterni da attacchi a sorpresa) finisce quasi in un disastro e l’astronave e il suo equipaggio si guadagnano una serie di nomignoli tutt’altro che simpatici, di cui “vigliacchi” è il solo ripetibile. Ma tutti, a bordo dell’incrociatore LS-1187, sono ansiosi di lavare la macchia, e per farlo non c’è che un modo: distinguersi in azione contro la Lega dei Morthan, la più pericolosa alleanza extraterrestre che i mondi dell’uomo abbiano dovuto affrontare.
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David Gerrold, nato nel 1944, è l’autore della notissima serie degli Chtorr: La guerra contro gli Chtorr (A Matter for Men, 1983; Urania n. 1194); Il ritorno degli Chtorr (A Day for Damnation, 1984; n. 1218); Il giorno della vendetta (A Rage for Revenge, 1987; nn. 1244-1245) e L’anno del massacro (A Season for Slaughter, 1991; Urania Argento n. 7). The Voyage of the Star Wolf è un romanzo del 1990.




Al margen, al margine della società in piena, disperata postmodernità nelle immagini struggenti dell'artista Matias Almargen

Hay dibujos que nacen al margen.
Nacen casi sin querer. Nacen al costado, afuera de lo importante. Nacen para no agradar ni ser vistos. Nacen para no ser terminados. Conviven con tachaduras y ni siquiera merecen el esfuerzo de ser borrados.
Son hijos del aburrimiento, del inconformismo o del enojo. Son los hijos indeseados del lápiz. Son solo bocetos de algo que podría haber sido mejor, pero fueron abandonados. Son una promesa incumplida, un proyecto trunco. Son la representación de ideas descartadas. Son la basura del subconciente.
Pero son más viscerales y sinceros que otros dibujos porque no tienen la obligación de agradar. Porque nacieron para no ser vistos. Porque nacieron sin estética. Porque nacieron solo por un impulso y nada más. Porque nacieron para molestar, ya que muestran lo imperfecto.
Pero no les importa.
Y no les importa porque viven al margen



qui la sua pagina:
https://www.facebook.com/AlMargenPagina

La postmodernità in “Addio ai confini del mondo” Paolo Cianconi, FrancoAngeli 2011
estratto dal libro su gentile concessione dell'autore per Cinemadonia.it


 Il postmoderno è un entità difficile a definirsi. Gli stessi autori che dichiarano di iscriversi e di riconoscersi nella così detta post-modernità faticano a convergere su una definizione univoca, universalmente accettata e condivisa di questo fenomeno culturale (Dellantuono, Pastore) .
Possiamo parlare di postmodernità come della cultura che si è sviluppata subsoglia dagli anni settanta in poi, ma che è emersa all’attenzione preponderante dagli anni ottanta in poi. Il postmoderno è caratterizzato da un pensiero specifico, dal collasso di quasi tutti i sistemi ideologici e di riferimento del ‘900, dalla inserzione delle tecnologie come terzo asse di intelaiatura della specie umana, insieme al binario biologico e culturale.

Trapasso moderno – La questione della fine della modernità è ancora più ardua della sua definizione. Allo stato attuale non possiamo dire con esattezza quale sia stata la sequenza e quali i suoi protagonisti; tra l’altro non tutti gli autori sono d’accordo che la modernità sia trascorsa o terminata. Il dilemma del confine della modernità sembra, almeno in parte, rimanere aperto: finisce la modernità? A. Touraine (1970), addirittura, non parla di un passaggio in avanti, ma di una retromarcia, di un processo di decostruzione: la de-modernizzazione.

C’è chi sostiene persino che si dovrebbe parlare di una separazione in “due Novecento”. Tuttavia, inevitabilmente qualcosa è accaduto nell’ultimo cinquantennio e non si può trascurarne l’importanza. Il mondo non è assolutamente più assimilabile entro i parametri della modernità classica, industriale, capitalistica, etnica, statale e non ultimo materiale-fisica. 

Numerosi fenomeni socio-tecnologici hanno cambiato la nostra realtà, molti di questi processi trasformativi sono, tra l’altro, tutt’ora in corso. Potremmo così parlare di trasformazioni e conseguenze. Tra le trasformazioni più importanti ricordiamone almeno tre: le ricerche sulle nuove tecnologie, il postcolonialismo e le sue derive, le trasformazioni geopolitiche ed economiche dopo la caduta dei regimi socialisti. La nostra specie è immersa in queste metamorfosi che coinvolgono i gruppi, il nostro modo di vivere e non ultima la nostra stessa biologia.
(per approfondire leggere Addio ai confini del mondo; parte seconda)

Tra le conseguenze delle grandi trasformazioni ricordiamo almeno tre macro fenomeni: la creazione di un nuovo tipo di spazio-tempo (spazi virtual-transnazionali) e l’alterazione di quello consueto in terre vulnerabili; l’emergere ed il sussistere di un nuovo tipo di pensiero tra i sapiens (la cosiddetta fine delle “grandi narrazioni” e sue conseguenze sul pensiero dei postmoderni); il post-umanismo: trasformazione del corpo e della psiche per effetto delle nuove tecnologie.
(per approfondire leggere Addio ai confini del mondo; parte terza

Quanto sopra scritto, naturalmente, non rende conto della portata di questi eventi bio-socio-psicotecnologici cui tutti noi siamo sottoposti. Il mondo intorno a noi è sollecitato, stirato mesmerizzato tra campi di energie, che in parte sono nuovi e in parte riadattati (mutati): se la realtà perde le caratteristiche che conoscevamo e diviene altro. Nondimeno essa è riflessiva, cioè si avvede di quello che gli accade e tenta di conservare una rotta. Le prossime generazioni, e almeno alcune di quelle presenti, dovranno fare i conti con la resa del mondo che conoscevamo, mentre già emerge il nuovo sistema, e navigarci dentro. Mentre i confini collassano, le cose si trasformano.






La postmodernità è una cultura globalizzata iper-tecnologizzata, caratterizzata dalla riproducibilità tecnica delle merci, dagli esordi delle teorie dell’informazione, dalle trasformazioni nella concezione dell’umano, dall’opera sul sociale dei simulacri e dalla liquefazione dei blocchi costitutivi della modernità tra le variabili. La postmodernità si sviluppa con la crisi del paradigma moderno e postindustriale dopo gli Anni Settanta.

L’attività di ricerca del Dott. Paolo Cianconi, con il gruppo nato in ambito delle spedizioni etnopsichiatriche, si serve degli stessi strumenti d’indagine messi a punto nelle ricerche con le culture tradizionali o in via di modernizzazione. 


La ricerca in quest’ampio settore psicosociale e antropologico è simile alla ricerca classica che si può condurre sul campo della differenza culturale; la postmodernità è, infatti, una cultura diversa che subentra ai codici fordisti (paradigma industriale che prevede come stampo culturale una società basata sull’industria e sulla “catena di montaggio” come organizzazione del tempo, degli spazi, delle classi, dei valori, della costruzione delle relazioni nell’individuo e nei gruppi). 




Si può, quindi, approcciare la postmodernità con le tecniche di esame dell’alterità che ci offrono la sociologia, l’antropologia, la psicologia, la psichiatria sociale, la medicina, la fisica, la biologia, le scienze dell’informazione, l’hi-tech, l’estetica e l’arte contemporanea. L’ambito interdisciplinare è fondamentale.




L'autore
Paolo Cianconi è medico psichiatra, psicoterapeuta, antropologo. Lavora presso la Casa Circondariale di Regina Coeli, ASL Roma A. Svolge attività di ricerca e di docenza presso numerosi istituti sulle tematiche della psichiatria clinica, della psicologia sociale, della devianza e della marginalità, dell'etnopsichiatria e della psicologia della postmodernità. Si occupa dello studio delle "sindromi mutanti" della globalizzazione e dei dispositivi terapeutici tradizionali. Ha compiuto spedizioni di ricerca etnopsichiatrica in diverse realtà nazionali e internazionali nei luoghi a rischio di collasso culturale e di disgregazione identitaria, quali ad esempio le riserve indio, favelas e barrios. È direttore scientifico del master di Etnopsichiatria dell’Istituto Beck di Roma. È formatore in diversi master e scuole di psicoterapia in Italia.

Recensione a cura di Luigi Starace
Francesca
di Bobby Paunescu – Romania, 96′
v.o. rumeno – s/t italiano, inglese
Monica Birladeanu, Doru Boguta, Teo Corban

Film in concorso nella sezione ORIZZONTI –66. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia

Sinossi:
Francesca è una giovane maestra d’asilo che sogna di emigrare in Italia. Nella speranza di una vita migliore, la giovane è pronta ad affrontare qualunque ostacolo, persino i dubbi e le preoccupazioni delle persone che le sono vicine. Il piano prevede che Mita, il suo ragazzo, la raggiunga in Italia non appena porterà a termine un piccolo affare in cui è coinvolto. Ma le cose prendono una piega infelice, vengono alla luce penose verità e le priorità cambiano.

Togliamo subito la curiosità: si è il film che non può essere ancora distribuito nelle sale italiane per via di un contenzioso legale vertente su alcune frasi offensive rivolte a politici italiani. Noi l’abbiamo visto alla 66esima Mostra del Cinema di Venezia. La distribuzione italiana attende quindi il responso del giudice sull’obbligo o meno di cambiare il doppiaggio italiano. Qualunque sarà la decisione, non cambierà la sostanza delle considerazioni argomento di quest’articolo.

Certo a essere sinceri una prima riflessione diventa proprio questa querelle/querela (o querela versus querelle?): gli italiani 2.0 non sono solo quelli della pizza mandolino e mafia. Non solo, almeno. C’è il sesso, ma questo è noto in Europa dagli anni 60 quando anche le giunoniche ekberg s’immergevano piacevolmente negli acquosi fluidi italiani di cellulosa. Ora c’è anche, si parla naturalmente di stereotipi, anche l’intolleranza e lo sfruttamento. Questa “idea diffusa” scorre lungo tutto il film e diventa uno dei buoni motivi per parlarne. Ebbene occorre ammetterlo: ora anche gli italiani sono odiati all’estero. Il nostro 2.0: perdita di due lunghezze fuori casa, per usare una metafora sportiva.


Non sono tanti i film distribuiti in Italia che parlano del nostro lato oscuro: nell’America di Amelio gli italiani andavano in Albania per intascare gli incentivi e poi non far nulla. Erano gli anni del dopo sbarco a Bari. Ora la leva, sempre economica, dello sfruttamento è l’assistenza domiciliare degli anziani. Sarà davvero solo uno stereotipo? Le statistiche che danno il disinteresse all’integrazione dei giovani italiani al 40% circa, pure?

Francesca, volto già noto agli appassionati di Lost, ha una casa, ha un lavoro e ha una famiglia. Si ha anche un fidanzato focoso che non è italiano, sorry. E’ diversa dai nostri nonni veneti, piemontesi, pugliesi, lucani, siciliani… Non vuole emigrare per mangiare. Vuol farlo per migliorare, evolversi e idealisticamente (ma coerentemente con la sua giovane età) condividere il suo “surplus” con il suo gruppo sociale d’origine. Francesca riuscirà a mettersi in viaggio, ma sarà costretta a fare (o meglio subire) una scelta fra il progresso e gli affetti.




Il film ha un ritmo lento, quasi da fiction, ravvivato da una fotografia quanto più possibile naturalistica. Le ambientazioni quotidiane e le situazioni di vita mostrate fanno pensare al tentativo di una narrazione affine al neorealismo, ma non sarebbe corretto affermarlo perché il messaggio finale, amaro più che tragico è quello del rimanere perché il cuore ti costringe. Non esprit de finesse, tuttavia, ma pragmatismo d’affetti in un tutto scorre di cui però il singolo non riesce a percepire il movimento, cosi il film Francesca inizialmente molto ben comprensibile a chi vive nel Mezzogiorno, termina con la nascita della borghesia rumena. E la borghesia ovunque si vada è sempre la stessa…





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