Recensione per Cinemadonia.it a cura di Carmen Palma
Le Guerre
Stellari tornano al cinema: dopo tanta attesa è finalmente nelle
sale Star Wars: The Last Jedi, l’ottavo episodio
della celebre saga ideata da George Lucas, il terzo dalla
acquisizione della Lucasfilm da parte della Walt Disney
Company. La pellicola, diretta da Rian Johnson, è già un successo
al botteghino e ha già causato accesi dibattiti tra i fan più
accaniti. The Last Jedi è un buon film? Cosa ha
funzionato e cosa no?
The Last Jedi
fa da seguito a un Episodio VII (Il Risveglio della Forza)
che ha diviso molto il pubblico. Il film, diretto da J.J.Abrams,
era un prodotto confezionato da un fan devoto, perciò era
inevitabile fosse pregno di nostalgia, un regalo, insomma, per tutti
i seguaci che dopo tanti anni hanno potuto assistere alle nuove
avventure intergalattiche, emulando però eccessivamente la trilogia
originale. Scadendo troppo spesso nel citazionismo spinto, il film è
sì godibile, ma sicuramente poco audace. La Walt Disney Company
poteva esser certa della buona riuscita del film al botteghino, data
la grande fanbase, ma ha preferito volare basso, dando agli
appassionati qualcosa per cui sorridere e una trama che, nelle
dinamiche, ricorda fin troppo le avventure di Luke Skywalker, Leia
Organa, Han Solo e Darth Fener.
Il nuovo
episodio, invece, riesce a staccarsi maggiormente (ma non del tutto)
dalla trilogia degli anni Settanta, a partire dalla regia e dal
montaggio.
Episodio VIII ha una nuova identità cinematografica, più
moderna e che non guarda mai al passato, abbinata alla superba
fotografia di Steve Yedlin. Una regia di ispirazione nipponica, a
giudicare da alcune inquadrature e scelte cromatiche , che rispecchia
chiaramente l’idea (malinconica) alla base del film: la fine dei
Jedi.
La
caratterizzazione dei personaggi, ben presentati in tutte le loro
sfaccettature, ricordano in alcuni punti i personaggi originali, ma
senza cadere nell’imitazione e soprattutto senza influenzare allo
stesso modo la dinamica della storia, ricca di colpi di scena. A
cominciare dal suo villain, Kylo Ren: senz’altro un personaggio
molto approfondito, che eredita alcune delle peculiarità di Anakin
Skywalker (come il suo dissidio interiore tra bene e male), ma che
riesce a slegarsene attraverso una scena chiave piuttosto esplicita:
il figlio di Han Solo e Leia Organa si disfa della sua maschera,
quella che tanto ricorda l’iconica immagine di Darth Fener e che lo
stesso Leader Supremo Snoke induce a sbarazzarsene. Non vi è
simbologia più forte di questa per rappresentare la diversità tra i
due.
Kylo
acquisisce,finalmente, una sua vera individualità, grazie alla quale
lo spettatore non sente più la mancanza del suo predecessore.
Uno dei maggiori
punti di distacco dai precedenti film è l’introduzione di una
nuova storyline: quella di Finn e Poe. La trama di questi due
personaggi non funziona completamente, le loro avventure non
convincono del tutto e non lasciano il segno, ma è frutto di uno
sforzo da parte del regista di cambiare completamente rotta dai
precedenti film, uno sforzo che va comunque apprezzato. Tra questi
due personaggi si inserisce la linea comica che tanto sta facendo
discutere: no, di certo non è stata gestita nei migliori dei modi,
ma di certo è eccessivo arrecare ad essa il fallimento della
pellicola, come molti puristi sparsi per il mondo tendono a fare. Vi
sono momenti ironici anche lì dove questi risultano sopra le righe,
eccessivo e inutili, di certo la loro mancanza non avrebbe reso il
film meno godibile, data la grande presenza di scontri e
combattimenti.
C’è una cosa,
tuttavia, che rende questo film diverso dagli altri e lo rende
apprezzabile. Non solo per i fantastici effetti speciali e il
montaggio sonoro che rendono la visione al cinema un’esperienza
unica, ma soprattutto perché questo è probabilmente lo Star Wars
più “spirituale” di sempre: la forza è al centro di
tutto, è protagonista indiscussa, è la causa che muove Rey, Kylo e
Luke, i fili della trama sono affidati tutti nelle sue mani. Continua
a imperare come unica legge universale anche lì dove i Jedi e la
speranza vengono meno.
Tutti gli
appassionati di Star Wars ricorderanno la passione con cui maestro
Yoda spiegava a Luke e ai suoi allievi l’essenza della Forza, ed è
ciò che fa anche Skywalker con la nuova protagonista della saga,
eppure non in maniera ugualmente travolgente: le parole e le azioni
dell’ultimo Jedi non sono efficaci come lo erano quelle di Yoda, ma
danno almeno un’idea generale di cosa questa rappresenti per un
guerriero. Un’idea che poteva essere approfondita in due modi:
allungando la durata del film, sfiorando così le tre ore, oppure
sottraendo la parentesi di Finn e Poe a Canto Bight che, tutto
sommato, pur essendo una bella sequenza di azione non lascia
totalmente il segno. Soluzioni che, tuttavia, si sarebbero rivelate
ugualmente dannose: un film troppo lungo non avrebbe accontentato
tutti e avrebbe corso il rischio di diventare noioso, così come non
inserire un universo nuovo come quello di Canto Bight avrebbe
arrecato grosse critiche a Rian Johnson. Il regista aveva un grosso
peso sulla spalle, ossia quello di creare un taglio netto con la saga
passata, cosa che J.J.Abrams non è stato in grado di fare: in The
Last Jedi l’inserimento di un mondo totalmente nuovo, quello
luccicante del gioco d’azzardo dove si nasconde un mondo fatto di
soprusi, aiuta Johnson a compiere quel passo in avanti che Abrams
non fece. Ed anche a Canto Bight è dato spazio all’interiorità, a
quel dualismo buio/luce che resta da sempre un tema molto caro alla
saga. Proprio come succede nell’isola dove Luke Skywalker si è
rifugiato: sono spazi conflittuali, ambivalenti, entrambi ben
rappresentati visivamente e concettualmente. I protagonisti
“scendono”( letteralmente) in luoghi che rappresentano l’oscurità
e, per metafora, il male. In particolare, la cava dell’isola dove
discende Rey ha un aspetto più macabro e introspettivo, la scelta di
rappresentare i suoi demoni interiori e i fantasmi del passato
attraverso lo stratagemma dello specchio risulta accattivante, pur
essendo un classico del cinema.
È un film che si
ama o si odia, ma di certo non lascia indifferenti. Johnson ha avuto
più audacia di Abrams,ma è andato sul sicuro con la distribuzione
equa di scene d’azione e di riflessione, le quali hanno una carica
emotiva tale da non risultare mai banali o noiose. Tengono sulle
spine esattamente come se si trattasse di un attacco del Primo Ordine
alle forze ribelli. Una tensione che rende, di fatto, L’Ultimo Jedi
superiore a Il Risveglio della Forza.
Carmen Palma
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