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Recensione a cura di Luigi Starace
Francesca
di Bobby Paunescu – Romania, 96′
v.o. rumeno – s/t italiano, inglese
Monica Birladeanu, Doru Boguta, Teo Corban

Film in concorso nella sezione ORIZZONTI –66. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia

Sinossi:
Francesca è una giovane maestra d’asilo che sogna di emigrare in Italia. Nella speranza di una vita migliore, la giovane è pronta ad affrontare qualunque ostacolo, persino i dubbi e le preoccupazioni delle persone che le sono vicine. Il piano prevede che Mita, il suo ragazzo, la raggiunga in Italia non appena porterà a termine un piccolo affare in cui è coinvolto. Ma le cose prendono una piega infelice, vengono alla luce penose verità e le priorità cambiano.

Togliamo subito la curiosità: si è il film che non può essere ancora distribuito nelle sale italiane per via di un contenzioso legale vertente su alcune frasi offensive rivolte a politici italiani. Noi l’abbiamo visto alla 66esima Mostra del Cinema di Venezia. La distribuzione italiana attende quindi il responso del giudice sull’obbligo o meno di cambiare il doppiaggio italiano. Qualunque sarà la decisione, non cambierà la sostanza delle considerazioni argomento di quest’articolo.

Certo a essere sinceri una prima riflessione diventa proprio questa querelle/querela (o querela versus querelle?): gli italiani 2.0 non sono solo quelli della pizza mandolino e mafia. Non solo, almeno. C’è il sesso, ma questo è noto in Europa dagli anni 60 quando anche le giunoniche ekberg s’immergevano piacevolmente negli acquosi fluidi italiani di cellulosa. Ora c’è anche, si parla naturalmente di stereotipi, anche l’intolleranza e lo sfruttamento. Questa “idea diffusa” scorre lungo tutto il film e diventa uno dei buoni motivi per parlarne. Ebbene occorre ammetterlo: ora anche gli italiani sono odiati all’estero. Il nostro 2.0: perdita di due lunghezze fuori casa, per usare una metafora sportiva.


Non sono tanti i film distribuiti in Italia che parlano del nostro lato oscuro: nell’America di Amelio gli italiani andavano in Albania per intascare gli incentivi e poi non far nulla. Erano gli anni del dopo sbarco a Bari. Ora la leva, sempre economica, dello sfruttamento è l’assistenza domiciliare degli anziani. Sarà davvero solo uno stereotipo? Le statistiche che danno il disinteresse all’integrazione dei giovani italiani al 40% circa, pure?

Francesca, volto già noto agli appassionati di Lost, ha una casa, ha un lavoro e ha una famiglia. Si ha anche un fidanzato focoso che non è italiano, sorry. E’ diversa dai nostri nonni veneti, piemontesi, pugliesi, lucani, siciliani… Non vuole emigrare per mangiare. Vuol farlo per migliorare, evolversi e idealisticamente (ma coerentemente con la sua giovane età) condividere il suo “surplus” con il suo gruppo sociale d’origine. Francesca riuscirà a mettersi in viaggio, ma sarà costretta a fare (o meglio subire) una scelta fra il progresso e gli affetti.




Il film ha un ritmo lento, quasi da fiction, ravvivato da una fotografia quanto più possibile naturalistica. Le ambientazioni quotidiane e le situazioni di vita mostrate fanno pensare al tentativo di una narrazione affine al neorealismo, ma non sarebbe corretto affermarlo perché il messaggio finale, amaro più che tragico è quello del rimanere perché il cuore ti costringe. Non esprit de finesse, tuttavia, ma pragmatismo d’affetti in un tutto scorre di cui però il singolo non riesce a percepire il movimento, cosi il film Francesca inizialmente molto ben comprensibile a chi vive nel Mezzogiorno, termina con la nascita della borghesia rumena. E la borghesia ovunque si vada è sempre la stessa…





Early Season report

E’ in corso una (delle tante) nuova serie fantasy: Shannara, tratta dai romanzi di Terry Brooks scritti a cominciare dal 1978. L’attuale serie è la riproposizione del libro dei primi anni 80, il secondo della prolifica serie sulla dinastia degli eroi della casata degli Shannara. La riproposizione in chiave cinematografica di intere saghe letterarie mainstrem è stata sdoganata dal successo planetario ottenuto dal Trono di Spade. Un successo per l’opera più famosa di Martins da far anticipare, forse, nella serie tv particolari della storia inediti. La differenza in velocità di realizzazione fra lentezza produttiva del cartaceo rispetto alla rapida messa in scena televisiva (ma di qualità e budget cinematografici) avvantaggerà sempre di più le lunghe saghe tematiche, rendendo il lavoro di sceneggiatura più leggero. Il budget risparmiato in sceneggiatori viene cosi destinato alla cura del dettaglio visivo, per rendere un’esperienza visiva sempre più coinvolgente e fidelizzante. Se nel Trono di Spade il plus è nei costumi, nelle nudità generose di professioniste del settore e nel numero delle comparse (cresciuto con il progredire delle stagioni della serie) nelle Cronache di Shannara è la computer graphic 2D e 3D ad essere pantagruelica.
Le Cronache di Shannara è ambientato in un futuro millenario post apocalittico. L’uomo ha dato luogo a mutazioni “magiche” popolando il mondo anche di gnomi, nani e troll. Gli elfi rimangono, da copione una specie apparte. I demoni sono il risultato dell’uso della magia. La visione è quindi manicheistica: esistono il bene e il male con una buona quota di predestinazione, ma la maggior parte degli abitanti della Terra è scettica e molto pragmatica. Poca violenza e niente sesso, anche se i protagonisti vivono tutti gli aspetti dell’affettività. Una serie pensata quindi per lo stesso pubblico adolescente e nerd che percepisce la differenza fra le orecchie di un elfo e quelle di un mezz’elfo. Brooks fu accusato nel 1978 di aver plagiato Tolkien. In realtà paga debito maggiore verso il gioco di ruolo Daungeons and Dragons (DaD) diffusosi a livello mondiale proprio nei primi anni Ottanta. Le Cronache di Shannara mostrano anche una certa somiglianza con imeccanismi narrativi della serie televisiva fantascientifica (ancora in corso) Defiance, in cui l’apocalisse e le nuove razze (una molto simile a quella elfica) vengono causate da alieni spaziali. Costante come nella maggioranza della produzione dedicata ai giovani adulti recente è la centralità delle figure femminili, dalle cui scelte si formano o dissolvono destini collettivi se non cosmici. Che siano coraggiosi prometei in gonnella, seduttrici non morbose o figure messianiche il peso del mondo è posto sulle loro spalle. A riguardo di personaggi femminili coraggiosi ma fragili è doveroso ricordare la capostipite seriale Buffy l’ammazza vampiri.
Il ruolo del contenitore, del mentore fiducioso e iniziatore è affidato alla Natura non antropizzata. “Naturalmente” sempre poco ascoltata dai più. Infine al maschio il venir coinvolto negli eventi senza averlo sempre scelto con una certa lentezza nell’entrare in partita. Se quindi non brilla per creatività letteraria le Cronache di Shannara ha il pregio di essere un vero spettacolo per gli occhi sia nella descrizione di ciò che è rimasto della nostra attuale civiltà dopo l’apocalisse sia nel proporre atmosfere d’effetto al pari dei migliori giochi per piattaforma. Non solo: l’influsso delle spettacolari immagini sviluppate dai disegnatori del gioco di carte Magic è evidente.
La storia è raccontata con suspance e mestiere, difficile che annoi. Un ottimo risultato nel complesso. Da una serie in cui la magia e la conoscenza di se stessi sono il cardine di ogni azione ci si sarebbe aspettato una maggiore narrazione creativa.
(A cura di Luigi Starace, Manfredonia 03 febbraio 2016)


Fare una buona commedia è difficilissimo, fare una buona commedia in Italia è un’impresa titanica, condizionato così com’è ormai il cinema Italiano da cinepanettoni, filmetti per teenager e commediole atte solo a far cassetta… Riuscire a fare una commedia che sappia dire qualcosa di nuovo, che sappia raccontare una bella storia, dei personaggi memorabili, in una cornice meravigliosa è un qualcosa di così raro che non credo che debba sfuggire… “La kryptonite nella borsa” è una di quelle sorprese piacevoli in un panorama cinematografico che tende alla noia ed alla monotonia… In una Napoli anni ‘70 che non sa né di camorra né di spazzatura, recuperando la sua naturale vocazione ad essere scenario di piccoli grandi racconti familiari, ecco che si muove una famiglia decisamente fuori dai canoni, una di quelle famiglie che ora si chiamerebbe “disfunzionale”, ma che più comunemente la potremmo definire sgangherata: un ragazzino miope e timido, una madre depressa, un padre fedifrago ma amoroso verso il figlio, nonni, zii “alternativi”, maestra e amici… 

Un guazzabuglio umano tenero e fragile, divertente e verace, raccontato con una delicatezza favolistica direi quasi francese (un po’ più di quasi specie nell’introduzione, molto “Amelie”) Un film che sa dosare tenerezza e comicità, immaginazione e realtà, con un cast formidabile (in primis degli eccezionali Valeria Golino e Luca Zingaretti), regalando quasi 2 ore di film da ricordare… Qualche piccola sbavatura nella trama, forse, ma sinceramente, al netto del piacere di un bel film, si può perdonare. 


Lilli It. 2008 di Filippo Ticozzi (38'). Scritto, diretto e montato da Filippo Ticozzi (Pavia, 1973), è un'elegia del silenzio, dai significati maggiori dei segni che contiene. Sul piano strettamente narrativo il cinema del regista pavese predilige le ellissi, nel solco di un processo selettivo di matrice intimista, volto a suggerire, più che a mostrare. In questo senso l'immagine di Ticozzi è suggestivamente vicina alla delicatezza della pagina letteraria, senza perciò tradire il mezzo elettivo. Memorabile il carrello a precedere del protagonista in bici a fondo valle, immerso nelle scenografie naturali altrettanto naturalmente che nel commento musicale classico. In modi periferici e marginali l'autore lombardo aggancia il cuore di una deriva, in cui riconoscere un quotidiano che in forme diverse accomuna tutti. Un capolavoro di sensibilità artistica, intuito e tradotto alla perfezione.

Lilli, interamente girato in Oltrepo, racconta la storia di Giancarlo, un ragazzo “particolare” che vive con la madre e il suo cane Lilli tra le colline, cui un giorno un incidente cambia la vita. Una produzione La città Incantata, Lilli è stato girato con un budget bassissimo grazie all’impegno volontario di diversi professionisti del settore che hanno prestato la propria professionalità gratuitamente. Il mediometraggio “Lilli” del regista Filippo Ticozzi, prodotto dalla società di produzione pavese La Città Incantata, in collaborazione con La Cooperativa Sociale La Piracanta, con il contributo di Provincia di Pavia, Comune di Pavia e Auser Comprensoriale di Pavia.

Ticozzi "sono molto felice di questo premio, grazie infinite. Lilli è il primo film che ho fatto e per il primo figlio si ha sempre un occhio di riguardo. Un cortometraggio fatto senza una lira, dove tutti hanno lavorato gratis, e fatto con quella meravigliosa incoscienza che poi, via via, si perde. Grazie tante a voi e a Cinemadonia. E grazie a Giancarlo (il non-attore protagonista), perno del film, che continua grande la sua via nel mondo."







Scivoli per la mente di Luigi Starace, realizzato con il contributo dell’A.Re.S Puglia da Stigmamente APS. Documentario presentato in occasione del Bari BiFest 2011 nella sezione Itinerari. Il documentario è il racconto della più grande campagna di prevenzione psichiatrica mai fatta in Puglia (4500 adolescenti pugliesi di 30 città coinvolti, il doppio in numero dell’ultima campagna ministeriale sullo stigma del 2004)




Testo di Geppe Inserra per Lettere Meridiane


Cinema che serve a documentare, ma anche a riflettere e a confrontarsi quello che si è visto alla Sala Farina, nell’apertura della sezione del Festival del Cinema Indipendente di Foggia, Cinema di Capitanata, riservata agli autori locali. E’ stato proiettato il documentario Scivoli per la mente(2011, 60’, Produzione Stigmamente Arte Media e Psichiatria) di Luigi Starace, vecchia conoscenza del festival di Foggia per essere stato per alcuni l’animatore de La mente al cinema, che raccoglieva e presentava al pubblico opere anche di fiction sul tema del disagio mentale e dello stigma.

Scivoli della mente racconta – senza mai appiattirsi sull’aspetto puramente cronachistico e con l’apporto di numerose testimonianze di studenti, docenti e psicologi – la positiva esperienza maturata nell’ambito della sanità pugliese con il progetto Stigma Mente, che vedeva lo stesso Starace tra i promotori, assieme al prof. Antonello Bellomo, docente di psichiatria all’università di Foggia. Finanziata dall’Ares Puglia, l’iniziativa proponeva discussioni ed approfondimenti sul tema dello stigma, ovvero il pregiudizio nei confronti dei disagiati psichici e più in generale dei diversi, in 70 scuole pugliesi distribuite su trenta comuni, a partire dalla visione di alcuni film e dalla lettura di alcuni testi sul tema del disagio.

I ragazzi delle scuole partecipanti hanno discusso con i loro docenti e con psicologi e psichiatri i temi proposti dai film e dai testi, ed in qualche caso il confronto ha permesso di far affiorare fenomeno di disagio presenti tra gli stessi ragazzi, che sarebbero rimasti altrimenti sommersi, mettendo i docenti nelle condizioni di poterli affrontare in classe.

Un progetto efficace che svela il volto di una buona sanità: un caso di successo – come sostiene in una intervista, durante il documentario, il dr. Ettore Attolini, dell’Ares Puglia – che spiega come la prevenzione rappresenti uno strumento molto efficace di promozione della salute.

Il tutto viene raccontato attraverso un sapiente montaggio, che alterna alle interviste ed alle riprese sul campo numerose inquadrature della cartoline postali fatte giungere a Starace nell’ambito di una iniziativa di mail art che qualche anno fa si svolse in collaborazione tra Starace ed il Festival del cinema indipendente di Foggia.

Il mediometraggio del regista sipontino ha anche il pregio di essere una testimonianza di cinema sul cinema e conferma, facendola toccare con mano e trasformandosi esso stesso in un veicolo di riflessione, la tesi che dicevamo all’inizio: il cinema è un ottimo strumento per far riflettere e per comunicare, anche e soprattutto su temi, come il disagio ed il pregiudizio verso la diversità, di difficile approccio.

Il titolo suggestivo è ricavato dalla riflessione dello psichiatra Marcello Nardini che conclude l’ottimo lavoro di Starace: parlando dell’atteggiamento negativo che generalmente la società ha verso quanti sono affatti da malattie e disturbi mentali, Nardini auspica la caduta delle barriere culturali che determinano lo stigma, così come negli ultimi decenni una più evoluta mentalità ha reso possibile che venissero abbattute le barriere architettoniche che rendevano difficili ai disabili attraversare e percorrere le strade. Bisognerebbe che oltre agli scivoli per le carrozzelle, venissero predisposti anche scivoli per la mente.

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