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Harry Potter e il Principe Mezzosangue: il Musatti’s Eye.

Sono in fila al botteghino per il sesto episodio di Harry Potter. Gli adulti sono mosche bianche, anche più appariscenti dei propri ciuffi e crini canuti immersi nella varietà multicolor dell’intera fila. Qualche matusa ha portato i figli: traspare così un entusiasmo per la prima proiezione, ore 16 sul fuso orario subtropicale di Foggia (uno in più di Howgarths), più paterno che filiale. Di fatti l'anteprima è un concetto da anni 80, quando vedere prima era prioritario sul vedermeglio. Nowadays in piena rip-culture, con maxischermo portabili anche in campeggio e connessi al mondocon la chiavetta usb per lo streaming - perché - un (fisicamente) adolescente dovrebbe affannarsi in primo pomeriggio con 34 gradi all'ombra per la fila al botteghino? Cerco una risposta sui visi intorno. La trama, oltretutto è nota, arcinota, stranota. A far compagnia a quest’adolescente di oltre 100 chili che scrive ci sono i ragazzi di maria, del fratellone e anche, bello e importante, cittadini europei stabilmente e presumiamo “legalmente” residenti in Italia. Carrozzino compreso di fratellino "a branca impresa". Ricordo ancora la serata in cui vidi al cinema Dune, seimila lire, e immagino come potranno essere i ricordi del ragazzino fra 10 anni a rievocare l'Italia insieme alla bacchetta di Harry. Quando i miracoli non accadono, rimane solo la fata turchina o Albus Silente, poco importa (menomale) che farà outing nella prossima anteprima fra un anno. 

Harry Potter e il principe mezzosangue", i sette Horcrux ~ Spettacolo  Periodico DailyPenso alla trama del libro rinfrescata grazie alla buon vecchia wikipedia: è l'episodio in cui il male acquista una matrice d'origine riconoscibile, dall'essere overspread e sommessamente ovunque viene ricondotto ad una linea storica, con un passato, presente e futuro(ergo identificato e storicizzato). Probabilmente è il più interessante della serie, l'apice. Non è lo scontro finale bensì la negazione del proprio se negativo e l’inizio della collaborazione (ma non cooptazione) del vecchio col nuovo (uomo-maghetto). L’omicidio viene descritto come una frammentazione dell’anima e il senso di colpa dell’esser vivi come diretta conseguenza di ciò attanaglia il protagonista: il bene conseguenza del male. Mi dico che forse vale la pena vederlo sto’ film, anche per apprezzare come verranno svolti i nodi narrativi. Pago, senza sconto giornalisti, questa volta non è concesso edentro nella sala più grande delmultisala.I rumors cominciano subito, pop corn e ritardatari movimentano i promo. 


Comincia il film, ovazione di metà sala e poi, poi...più nulla. Cioè la pellicola scorre, lo schermo si anima, ma la sala si spegne dopo i primi venti minuti. Una sciatteria. I bisbigli e i commenti live dei vicini di posto aumentano, intenti a spiegare al genitore accompagnatore quanto accaduto nei precedenti film, e il genitore ancor più acutamente ed educatamente intento a voler capire subito. Se nei primi minuti erano un fastidio, dopo la prima mezz’ora diventano un toccasana e il vero intrattenimento “in sala”. La ragazzina a sinistra ha la sua versione dei fatti, mentre il nerd in erba a destra è un chiaro sostenitore del clan cattivo. Il tutto mentre maggiorenni ben identificabili da un tono di voce testosteronico sciorinano una conoscenza da scriba non solo della storia, entusiasmante sullo schermo quanto una miccetta per soldatini di piombo, ma dell’ambiente, dei luoghi e di tutto il background, costruito dalla scrittrice o dai forum in rete. Una tale passione, mi dico, andava coinvolta, non anestetizzata dai quattro movimenti di camera in piano americano su attori verosimilmente reduci da una puntata fiume del Maurizio Costanzo Show mattina. 

Review: Harry Potter e il Principe Mezzosangue | DDay.itSesso, no grazie (in fondo sono maghetti inglesi, al contrario dei coetanei babbani che negli ultimi anni hanno avuto un aumento delle malattie sessualmente trasmesse del 400%). Anche il bacio, dopo un’ora abbondante di proiezione, fra Harry e la sua futura compagna di una vita viene accolto con indifferenza dalla platea (e anche la scena primordiale è bruciata). Sensualità, magari sublimata nei volteggi delle scope volanti, nisba. Che delusione per i ragazzi coetanei del trio, cresciuti anno dopo anno col mondo parallelo in cui esistono anche i mezzi binari, le mezze misure, le diverse gradazioni di bontà o malvagità...e tutto quello che gli si riesce a proporre sono due ore e mezza di una versione sofisticata del maggior successo di Franco Califano...

Concludendo: il film va visto, per un ripasso di psicologia sociale. Mi viene da pensare ad un esperimento fatto da Cesare Musatti, uno dei primi psichiatri al mondo ad occuparsi di cinema e psiche: guardare i volti dei ragazzi mentre assistevano a Biancaneve della Disney. Musatti scoprì che l’identificazione proiettiva non seguiva necessariamente la morale della storia, anzi riferì d’aver osservato anche tratti di compiaciuto sadismo. Harry

Potter va visto con il Musatti’s Eye, non c’è dubbio. Naturalmente il regista è statoconfermato per girare il prossimo e conclusivo film doppio: Harry Potter e i doni della morte. Omen nomen, sartriana però. 

Luigi Starace


Risultati immagini per le quattro casalinghe di tokyo personaggiLe quattro casalinghe di Tokyo. Note noir, delitti efferati, amori grotteschi, lenzuola tinte di cupe volte notturne e luci al neon riflesse su uno scenario suburbano decadente, di questi essenziali elementi si compone il romanzo, pubblicato in Italia da Neri Pozza nel 2003, il cui titolo originale è Out, scritto da Natsuo Kirino, autrice giapponese, classe 1951.

 In questo romanzo giallo di 700 pagine sono raccolti, sotto lo stesso accogliente tetto, i versanti più oscuri dell'animo umano, partoriti dalle vischiose spire della frustrazione, del risentimento, dell'incomunicabilità e dell'afferimento a ceti e ruoli sociali rigidi e costrittivi, che vedono come ultima e unica via di liberazione il delitto, l'aberrazione e il lavoro notturno.
 In un Giappone contemporaneo, dalla struttura ferrea, quattro donne decidono di acquisire un pezzo della propria libertà economica lavorando come operaie in una fabbrica di pietanze pronte al consumo.

 In quest'ambiente, intriso di vapori caldi del cibo cotto frammisti a sanitizzante industriale, Masako, Yayoi, Kuniko e Yoshie, intrecciano parte delle proprie esistenze, immergendosi, notte dopo notte, in un oceano nero di crimini meticolosamente premeditati e tracciando i propri passi con scie di sangue, difficilmente estinguibili. Altri personaggi enigmatici si avvicendano nell'evolversi incalzante del racconto, i quali minano ulteriormente il concetto di integrità morale e umana, in contrasto con la mistificazione della società modello nipponica, descritta dalle virtù della precisione e dell'esattezza, ma macchiata, di contro, dalla violenza impressa da strutture e sovrastrutture culturali nell'individuo-automa.

 Lo stile fluido, scorrevole rende il complesso narrativo avvincente e la tensione, tipica dei thriller, tiene il lettore col fiato sospeso sino all'ultima pagina.

Una chicca imperdibile per gli amanti del genere, non adatto ai deboli di stomaco.

Recensione di 𝕸𝖆𝖗𝖙𝖎 𝖓𝖆 per Cafe sur la Lune ( https://t.me/joinchat/DO6Q8RD4RWMYuEK6dAz3Ug)


APPROFONDIMENTO SULLA  AUTRICE 


https://it.wikipedia.org/wiki/Natsuo_Kirino

https://www.corriere.it/moda/news/17_giugno_15/natsuo-kirino-con-nome-uomo-scrivo-storie-nere-cosi-avverto-donne-giappone-ci-tradisce-8e4c24c2-51e5-11e7-bf53-660c452c585b.shtml





Stagione di Prosa a Manfredonia: avvio intenso e civile con L’estranea di casa

La stagione di prosa è cominciata con un ottimo afflusso di pubblico e un testo denso, impegnato e scuotente le coscienze: il mondo (in)visibile per noi italiani delle badanti dell’Est Europa. L’estranea di casa non fa sconti: messa in scena minima, luci essenziali e forte presenza scenica della protagonista. Non c’è molto da produrre come pensiero, serve solo ascoltare ed entrare nella vita da quella sociale a quella interna dell’animo di Luminiţia, insegnante rumena che riceverà una dolorosa lezione dalla vita. Le due famiglie, quella propria e quella dell’assistita, vengono sottoposte a forze centrifughe e i rapporti fra i vari membri si trasformano da resilienti in entropici.

Allo spettatore spetta decidere se condividere lo status migratorio ed emotivamente migrante della neo badante dell’anziana signora Chella oppure scegliere di non vedere, di giustificare le istanze di una madre con un pragmatismo italo-centrato. L’estranea di casa riesce a smuovere, è incisiva. Racconta l’oggi postmoderno e andrebbe proposto nelle scuole, per far maturare una visione più ampia della realtà sociale, non limitata alla geografia virtuale dei confini nazionali (che non esistono più).

L’Italia ha avuto milioni di migranti eppure si parla di “sindrome italiana” per le badanti che vi vengono a lavorare: le badanti spesso quando tornano in patria e cadono in depressione. Il lavoro del caregiver è di per sé logorante e bisognoso di pause e momenti di scarico emotivi; se si aggiunge lo stress delle condizioni spesso terminali degli assistiti il peso aumenta. E questo sarebbe il lavoro, poi le difficoltà di essere stranieri in terra che non fa sentire più cosi accolti gli stranieri, anche se vengono a lavare non solo i nostri ammalati ma spesso anche la nostra coscienza collettiva.


“La Signora conta le malattie e io i suoi anni. Lei trattiene la mia giovinezza, io cullo la sua vecchiaia.”
Tetyana Kochetygova, badante e poetessa dal libro Il Paese delle badanti, Francesco Vietti


L’estranea di casa con Raffaella Giancipoli, video animazioni Beatrice Mazzone, spazio scenico Bruno Soriato, disegno luci Tea Primiterra, assistente alla regia Annabella Tedone, consulenza linguistica Nina Balan, regia e drammaturgia Raffaella Giancipoli.

E’ uno spettacolo di Kuziba, produzione Compagnia Bottega degli Apocrifi con il sostegno di Sillumina.



Recensione per Cinemadonia.it a cura di Carmen Palma  
Le Guerre Stellari tornano al cinema: dopo tanta attesa è finalmente nelle sale Star Wars: The Last Jedi, l’ottavo episodio della celebre saga ideata da George Lucas, il terzo dalla acquisizione della Lucasfilm da parte della Walt Disney Company. La pellicola, diretta da Rian Johnson, è già un successo al botteghino e ha già causato accesi dibattiti tra i fan più accaniti. The Last Jedi è un buon film? Cosa ha funzionato e cosa no?

The Last Jedi fa da seguito a un Episodio VII (Il Risveglio della Forza) che ha diviso molto il pubblico. Il film, diretto da J.J.Abrams, era un prodotto confezionato da un fan devoto, perciò era inevitabile fosse pregno di nostalgia, un regalo, insomma, per tutti i seguaci che dopo tanti anni hanno potuto assistere alle nuove avventure intergalattiche, emulando però eccessivamente la trilogia originale. Scadendo troppo spesso nel citazionismo spinto, il film è sì godibile, ma sicuramente poco audace. La Walt Disney Company poteva esser certa della buona riuscita del film al botteghino, data la grande fanbase, ma ha preferito volare basso, dando agli appassionati qualcosa per cui sorridere e una trama che, nelle dinamiche, ricorda fin troppo le avventure di Luke Skywalker, Leia Organa, Han Solo e Darth Fener.
Il nuovo episodio, invece, riesce a staccarsi maggiormente (ma non del tutto) dalla trilogia degli anni Settanta, a partire dalla regia e dal montaggio.


 Episodio VIII ha una nuova identità cinematografica, più moderna e che non guarda mai al passato, abbinata alla superba fotografia di Steve Yedlin. Una regia di ispirazione nipponica, a giudicare da alcune inquadrature e scelte cromatiche , che rispecchia chiaramente l’idea (malinconica) alla base del film: la fine dei Jedi.

La caratterizzazione dei personaggi, ben presentati in tutte le loro sfaccettature, ricordano in alcuni punti i personaggi originali, ma senza cadere nell’imitazione e soprattutto senza influenzare allo stesso modo la dinamica della storia, ricca di colpi di scena. A cominciare dal suo villain, Kylo Ren: senz’altro un personaggio molto approfondito, che eredita alcune delle peculiarità di Anakin Skywalker (come il suo dissidio interiore tra bene e male), ma che riesce a slegarsene attraverso una scena chiave piuttosto esplicita: il figlio di Han Solo e Leia Organa si disfa della sua maschera, quella che tanto ricorda l’iconica immagine di Darth Fener e che lo stesso Leader Supremo Snoke induce a sbarazzarsene. Non vi è simbologia più forte di questa per rappresentare la diversità tra i due.
Kylo acquisisce,finalmente, una sua vera individualità, grazie alla quale lo spettatore non sente più la mancanza del suo predecessore.
Uno dei maggiori punti di distacco dai precedenti film è l’introduzione di una nuova storyline: quella di Finn e Poe. La trama di questi due personaggi non funziona completamente, le loro avventure non convincono del tutto e non lasciano il segno, ma è frutto di uno sforzo da parte del regista di cambiare completamente rotta dai precedenti film, uno sforzo che va comunque apprezzato. Tra questi due personaggi si inserisce la linea comica che tanto sta facendo discutere: no, di certo non è stata gestita nei migliori dei modi, ma di certo è eccessivo arrecare ad essa il fallimento della pellicola, come molti puristi sparsi per il mondo tendono a fare. Vi sono momenti ironici anche lì dove questi risultano sopra le righe, eccessivo e inutili, di certo la loro mancanza non avrebbe reso il film meno godibile, data la grande presenza di scontri e combattimenti.

C’è una cosa, tuttavia, che rende questo film diverso dagli altri e lo rende apprezzabile. Non solo per i fantastici effetti speciali e il montaggio sonoro che rendono la visione al cinema un’esperienza unica, ma soprattutto perché questo è probabilmente lo Star Wars più “spirituale” di sempre: la forza è al centro di tutto, è protagonista indiscussa, è la causa che muove Rey, Kylo e Luke, i fili della trama sono affidati tutti nelle sue mani. Continua a imperare come unica legge universale anche lì dove i Jedi e la speranza vengono meno.
Tutti gli appassionati di Star Wars ricorderanno la passione con cui maestro Yoda spiegava a Luke e ai suoi allievi l’essenza della Forza, ed è ciò che fa anche Skywalker con la nuova protagonista della saga, eppure non in maniera ugualmente travolgente: le parole e le azioni dell’ultimo Jedi non sono efficaci come lo erano quelle di Yoda, ma danno almeno un’idea generale di cosa questa rappresenti per un guerriero. Un’idea che poteva essere approfondita in due modi: allungando la durata del film, sfiorando così le tre ore, oppure sottraendo la parentesi di Finn e Poe a Canto Bight che, tutto sommato, pur essendo una bella sequenza di azione non lascia totalmente il segno. Soluzioni che, tuttavia, si sarebbero rivelate ugualmente dannose: un film troppo lungo non avrebbe accontentato tutti e avrebbe corso il rischio di diventare noioso, così come non inserire un universo nuovo come quello di Canto Bight avrebbe arrecato grosse critiche a Rian Johnson. Il regista aveva un grosso peso sulla spalle, ossia quello di creare un taglio netto con la saga passata, cosa che J.J.Abrams non è stato in grado di fare: in The Last Jedi l’inserimento di un mondo totalmente nuovo, quello luccicante del gioco d’azzardo dove si nasconde un mondo fatto di soprusi, aiuta Johnson a compiere quel passo in avanti che Abrams non fece. Ed anche a Canto Bight è dato spazio all’interiorità, a quel dualismo buio/luce che resta da sempre un tema molto caro alla saga. Proprio come succede nell’isola dove Luke Skywalker si è rifugiato: sono spazi conflittuali, ambivalenti, entrambi ben rappresentati visivamente e concettualmente. I protagonisti “scendono”( letteralmente) in luoghi che rappresentano l’oscurità e, per metafora, il male. In particolare, la cava dell’isola dove discende Rey ha un aspetto più macabro e introspettivo, la scelta di rappresentare i suoi demoni interiori e i fantasmi del passato attraverso lo stratagemma dello specchio risulta accattivante, pur essendo un classico del cinema.

È un film che si ama o si odia, ma di certo non lascia indifferenti. Johnson ha avuto più audacia di Abrams,ma è andato sul sicuro con la distribuzione equa di scene d’azione e di riflessione, le quali hanno una carica emotiva tale da non risultare mai banali o noiose. Tengono sulle spine esattamente come se si trattasse di un attacco del Primo Ordine alle forze ribelli. Una tensione che rende, di fatto, L’Ultimo Jedi superiore a Il Risveglio della Forza.
Carmen Palma

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