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Luigi Starace


Manfredonia – E’ una bella giornata di sole autunnale e Siponto in questo periodo, in una anonima domenica di fine ottobre, appare ancora più radiosa. Raggiungiamo Fernando Muraca nel suo albergo; ci accoglie con un sorriso, manipolando fra le mani uno strano aggeggio color piombo: “E’ un antistress che mi ha regalato mio figlio” commenta. Di lì a poco avrei notato che non ne avrebbe fatto largo uso, perlomeno in nostra presenza: “buon segno” penso fra me e me, vuol dire che non lo stiamo annoiando.

Partiamo dal film, perché La Terra dei Santi, perché Manfredonia? “Sono cinque anni che lavoro a questo film, ho iniziato con la collaborazione di Monica Zapelli, sceneggiatrice de “I cento passi”. La trama vede protagoniste tre donne, un giudice, la moglie di un boss e sua sorella. Il film che parla di ‘ndrangheta non vuole raccontare tanto i traffici e le gesta di questa organizzazione ma vuole dare una visione antropologica del fenomeno: perché una donna meridionale che darebbe la vita per il proprio figlio, decide ad un certo punto di “donarlo” all’organizzazione mafiosa? Il film doveva essere girato in Calabria ma lì abbiamo trovato le porte chiuse, qui in Puglia invece avete una bella realtà, l’Apulia Film Commission accoglie e sponsorizza molto volentieri progetti di questo genere, così abbiamo trovato terreno fertile per la realizzazione del progetto. La scelta di Manfredonia è stata dettata da una ragione molto semplice: morfologicamente la vostra città assomiglia molto a Vibo Valentia, dove sono nato. Manfredonia con il suo paesaggio, il mare, il promontorio garganico mi ricorda molto i luoghi dove ho trascorso la mia infanzia e dove è ambientato il film”.

A parte le similitudini morfologiche, cosa accomuna noi manfredoniani agli abitanti di Vibo Valentia, dal punto di vista antropologico? “Tutte le popolazioni meridionali sono accomunate da una grande sofferenza, quella di vivere in territori che sono sottoposti ad una grande violenza che si chiama mafia, che impedisce loro di esercitare appieno la propria libertà. Nelle nostre città, non siamo pari, c’è chi ha più libertà di intraprendere e c’è chi invece deve rendere conto ad altri per mettere a frutto i propri talenti. In Calabria, Sicilia, Campania, Puglia le mafie hanno il loro quartier generale che poi diffonde i suoi tentacoli in tutta Europa. Il sistema mafioso si sostituisce allo Stato, garantendo ai propri affilati sicurezza e divenendo, in un certo senso, un sistema di collocamento a tal punto che, come dicevo, anche le donne sono portate in modo acritico ad accettarne le regole immolando i propri figli”.

Parliamo di Fernando Muraca, quando nasce la sua vocazione? “La mia storia di professionista del cinema è legata alle mie scelte di vita. Non ho mai avuto questo sogno da bambino, è capitato. Ho imparato fin da piccolo a mettere a frutto i miei talenti, sono convinto che se compi questo esercizio progettualmente alla fine questo porta alla piena realizzazione dei propri sogni. Stavo girando il mio primo cortometraggio, ad un certo punto dovevo riprendere il volto della protagonista, mentre giravo mi sono reso conto che non mi vedevo più, ero completamente immerso nell’attimo presente. Questo ha provocato in me una gioia immensa, di piena realizzazione, così ho pensato: se questa cosa mi rende così felice vuol dire che questa è la mia vocazione”.

C’è stato qualche momento in particolare nella sua vita durante il quale avrebbe preferito mollare tutto e fare un passo indietro? “Il mondo del cinema, si sa, ha delle dinamiche molto complesse, è dura, e a volte i tempi non sono maturi per accogliere e apprezzare il tuo lavoro. Sì, ho attraversato un momento di sofferenza molto particolare, è difficile capire cosa fare quando finalmente sei riuscito a realizzare il sogno della tua vita (diventare regista ndr) e sei convinto di aver realizzato un buon prodotto che però viene rifiutato in tutti i festival in cui lo presenti. E’ quello che è capitato a me; non riuscivo a capire perché il mio film veniva rifiutato ovunque lo presentassi anche se si trattava di un buon lavoro. In quel momento di crisi sono stato spinto ad andare avanti, mi ha aiutato molto la fede, il mio rapporto epistolare con Chiara Lubich (fondatrice e leader del Movimento dei Focolari), conclusione se non avessi perseverato e avessi abbandonato tutto, ora non sarei qui. Cinque anni più tardi, lo stesso film ha riscosso un successo non indifferente. Semplicemente quando lo avevo presentato la prima volta la critica e il pubblico non erano pronti ad accoglierlo. Nel nostro lavoro a volte accade di anticipare i tempi, bisogna solo saper aspettare”.

So che lei ha una grande fede, come si può riuscire nel mondo di oggi, a trasmettere il volto di Dio attraverso un film? “L’uomo è un essere dotato di interiorità, a questa cosa ognuno di noi dà un nome, c’è chi la riferisce a Dio, chi ad un’altra entità. Io ho ricevuto una formazione cristiana, sono nato in Calabria e qui l’essere cristiano è qualcosa di naturale. Quindi il fatto di essere cristiano è prima di tutto legato a questo. Mi identifico nei valori della famiglia, dell’amicizia, dell’accoglienza che secondo me sono alla base di ogni comunità sociale e questo non può essere ininfluente nelle mie opere. Cerco di immettere nelle mie opere un senso spirituale, qualcosa che rimandi a qualcos’altro che non vediamo e che non si può descrivere. Quando racconto le storie, cerco l’uomo e Gesù è l’uomo. Dio è nelle persone che incontro, nei miei collaboratori, nei miei personaggi. Essere credente significa provare un amore sconfinato per l’uomo”.



Qual è il film che ha girato che porta sempre nel cuore, il figlio prediletto? “Il primo e l’ultimo, questo che sto girando adesso. Nel mio primo cortometraggio “Ti porto dentro”, ho rappresentato tutti i semi di una poetica che poi avrei sviluppato nel tempo in tutti i miei lavori. Ti porto dentro racconta la storia della buona morte: che cosa succede ad un uomo quando giunge alla fine della sua vita e deve abbandonare questa terra? Ero andato al funerale di una persona, che mi colpì profondamente; quel momento sembrava una festa, si viveva sì il dolore del distacco ma al contempo quel giorno ci diceva di un uomo che passando nel mondo, aveva lasciato cose meravigliose. Ispirandomi a questo momento ho scritto una storia d’amore che doveva realizzarsi proprio nel momento in cui la vita finisce”.

 75^ edizione della Mostra del Cinema, il Premio della Critica SIC (Sindacato Critici Cinematografici) quest’anno è stato assegnato al documentario Still Recording di Saeed Al Batal e Ghiath Ayoub (Siria).

Non lo trovate nè sulla pubblicazione della settimana della Critica ne sul programma perché aggiunto dopo, un last minute vincente visti i risultati e umanamente molto significativo.

Il docufilm siriano copre gli anni 2011_2014 e racconta la vita dei giovani siriani, i registi e i loro amici. Alcuni diventano cecchini, altri continuano ad allenarsi atleticamente sotto le bombe dei mig, altri pensano che con la pace potranno fare i musicisti. Nel frattempo la storia come la si è vista dai telegiornali internazionali, la guerra civile e lo smantellamento di un popolo nobile e ricco.

Still recording
Il lavoro è stato girato quasi tutto in presa diretta, 450 ore di vita filmate in una nazione in cui il benessere è finito di colpo e le olive diventano più essenziali della tecnologia che c’è e anche tanta. Un contesto che invita alla riflessione profonda sul mondo e sui filtri della informazione. Non ci sono buoni o cattivi ma solo sopravvissuti in Still Recording, tutti con un profondo desiderio di rimanere in Siria e non diventare profughi. Un film crudo ma che picchia molto di più sui pre-giudizi dello spettatore, non siriano. La dimostrazione che la videocamera sa essere più risolutiva di un fucile.

Far Conoscere attraverso il cinema contesti che facilmente si etichettano e sintetizzano con etichette è uno dei compiti nobili del cinema (il primo rimane quello di far ridere)

Still Recording
Luigi Starace, Cinemadonia.it

Creare. Tirare una linea nera. Processo irreversibile. Di seguito compaiono anche le linee bianche. La linea iniziale è divenuta un corso d'eventi. Quelli che appaiono, quelli che si desiderano, quelli cha si sa vedere. Poi si cambia foglio. Bianco ...

Hanno cercato in tanti di descrivere cosa succede, quando si guarda un film. Altri ne hanno descritto le interrelazioni fra mente del regista e quella dello spettatore, rifoderando la psico-dinamica di qualunque matrice col vellutino da cinema d'essai. Sembrava ci fossero solo i Gabbard (Cinema e psichiatria, 1999) Glen e Krin, dimenticando i lavori pionieristici di Metz (Cinema e psicoanalisi, 1977) e Grossini (Cinema e follia: stati di psicopatologia sullo schermo, 1984), Christian e Giancarlo. Una rondine Musatti (Cinema e psicoanalisi, 1950), non fa tendenza, si diceva...

I Corti sul lettino», Cinema e Psicoanalisi al Palazzo delle Arti -  CorrieredelMezzogiorno.itOra La mente altrove rivela uno staffi. tutto nostrano, tutto attento, tutto accurato. Già una prima riflessione si impone. La geografia fa notare le diverse provenienze. Superato anche il provincialismo. In più i saggisti provengono da aree diverse del sapere: medicina, psicologia, filosofia, cinematografia. Diversità anche nella disciplina portante, la psicoanalisi, come sottolinea Andrea Sabbadini nell'introduzione, a vanto di un lavoro che immaginiamo faticoso e costante, da quando, cioè, l'associazione Psiche e Immagine si è formata, a metà degli anni novanta. Il libro nasce dopo dieci anni, frugando già dalle prime pagine il primo dei dubbi: era necessario? 

Ancora una riflessione campanilistica, prima di sviscerare meglio il manufatto. Nelle prossime edizioni dell'European Psychoanalytic Film Festival, di cui Sabbadini è padre, non ci saranno molti contributi italiani. Non per esclusione, anzi, per evitare un'abbondanza. Perché lasciarci sfuggire, allora, tutto questo patrimonio culturale e non curarcene? Perché aspettare che sia sempre qualcun altro oltralpe od oltremare a scoprirlo e valorizzarlo? Anche questa "cattiva" abitudine italiana è fugata da La mente altrove

CICLO 2017 "Cinema e Psicoanalisi" - Centro Psicoterapia Milano SPP

C'è di più. In pochi anni, la situazione editoriale si è ribaltata e così si è scritto tanto, troppo, forse sulle relazioni fra cinema mondo della psiche: basta consultare un elenco da librerie on line per contare ormai circa una cinquantina di titoli a tema. La mente altrove risponde implicitamente e intelligentemente ad una devastante domanda che, alla Lubrano, nascerebbe spontanea: 

"Ma cos'altro c'è da dire su psiche e cinema? "

La mente altrove, se fosse un film, sarebbe uno di quelli in cui il finale è mostrato nel prologo. Resta da capire come ci si arrivi. Il viaggio, temuto etereo, fra il non ancora capito e il cos'altro non ancora detto si concretizza man mano. 
Non si è obbligati a seguire le orme dei saggi brevi e paradossalmente la libertà di non aderenza fa compiere il cambio di prospettiva ricercato. Che il cinema sia cinema e non altro dal cinema rimane, infatti, un'affermazione del tutto opinabile. Radente ai percorsi già scoperti e acclarati ma non identico: lavorare di cesello è un'arte difficile. 
Non mancano saggi di trattazione (ormai) classica sulla rappresentazione dello psichiatra, dello psicoanalista o della malattia stessa, con citazioni mai banali e capaci di incuriosire anche i più smaliziati. Luigi Pavan (La psichiatria attraverso il cinema) offre, con una panoramica degli studiosi, una riflessione sulla psichiatria e i film che la ritraggono a vario titolo, insieme ad una ricca cronologia dei film, passando anche per i dimenticati Risi (Diario di una schizofrenica ) e Mann (Manhunter, frammenti di un omicidio ). Termina con un'accurata carrellata sul suicidio. 
Massimo De Mari (Il cinema e la psicoanalisi) descrive lo stato dell'arte della relationship psiche-cinema approfondendo l'analisi sul lavoro di Gabbard (la semplicità espositiva, per i non addetti ai lavori, un valore aggiunto di questo saggio).
Articoli di mediazione clinica risultano quello di Simona Argentieri (Prigionieri del passato: la nevrosi si guerra nella rappresentazione cinematografica) sugli shock bellici e in cui si parla del cinema di guerra non senza ironia e quello di Riccardo Dalle Luche (Cinema e delirio), che affronta l'esperienza delirante come un'applicazione della teoria della mente attraverso il cinema. Infine, Alberto Sacchetto (La donna dai tre volti e Psyco: rappresentazione cinematografiche del disturbo dissociativo dell'identità) fra etica psicoanalitica e criminologia lavora su una frontiera ancora non del tutto definita. Un articolo tutto da scoprire con la consapevolezza che, terminata la caccia alle streghe, si possa coraggiosamente incrociare lo sguardo acuto, ma quantico, della scienza psi-made con il non altrimenti definibile come "essere altro". E che tutti gli sforzi di conquistare la normalità ci perdonino...
Sull'altro fronte, ossia la mente del regista, ma saggiamente senza fare autoptico, Stefano Marino (L'orrore della generazione: tre film di Nanni Moretti) rilegge Moretti, nelle opere degli anni ottanta, accuratamente senza timori o campanilismi ideologici, sviscerandone l'esistenzialismo e la vitalità implosiva.
In tutto sono oltre cinquanta i titoli di film citati, una trentina quelli trattati in modo più approfondito. Da leggere in serie o in parallelo, magari i meno metodici aprendolo a caso, il libro tiene. Può allora succedere che ci si trovi immersi in una chicca per chi non ha dimenticato il Partendone, come il saggio di Umberto Curi (Il piacere delle immagini) vera palestra per gli amanti della speculazione filosofica. Oppure nella ricerca dell'identità dell'uomo del terzo millennio di Elisabetta Marchiori (Io: Chi? Riflessioni sull'identità attraverso il cinema) che, senza erudizione, intreccia letteratura e psicoanalisi. Articolo questo paradigma del modus operandi dell'intero libro: eterogeneità di fonti, multipli approcci, nessuna risposta confezionata. Piattaforma, non vademecum.
é quindi un libro pensato per un determinato pubblico di lettori, ma capace di suscitare interesse in tutti gli amanti del cinema che fa riflettere, o forse più semplicemente di tutti quelli che amano ripensare ai film visti. 

Cinema e psicoanalisi

Un'altra considerazione. La mente altrove è suddivisa i tre sezioni: "Dolly", "Zoom" e "Close-up". 
Nella sezione "Dolly" si instaura un ponte con gli studi precedenti. Nella sezione "Zoom" sono raccolti i contributi prevalentemente clinici e di valenza gruppale-mediatica. Nella sezione "Close-up" i saggi vertono prevalentemente sulla funzione della memoria. Un'ipotetica sequenza di ripresa di stretto taglio (ma potremmo dire anche eziologia ) psicanalitico. 

Nell'insieme, infine, i saggi propongono, in meta-lettura, un modus indagandi cibernetico con quattro "dimensioni" proposte. Nessuna novità, ma l'averle sapute avvicinare e l'averle lette così una dopo l'altra, mi spingono a riassumerle così: 

- la trasduzione della tridimensionalità in linguaggio espressivo. 
Vittorio Volterra (Trauma e stress in psichiatria e nel cinema) propone, attraverso un'accurata analisi dell'isomorfismo cinema-mente, buoni spunti originali su lessico delirante e montaggio. Un segmento del sapere da scoprire ma esistente e interagente al di là delle posizioni psicopatologiche e commerciali dei cineasti. 
Elena Grassi, Massimo De Mari (Psyco: la costruzione visiva del doppio) invece trattano lo stile di regia come elemento portante della narrazione. La frontiera e il suo epigone, senza scomodare il giano bifronte di turno. La conferma che occorre del buon cinema per mettere in moto il pensiero. Basculamento continuo fra visione e visioni...

- La temporizzazione dell'esperienza visiva.
Ignazio Senatore (Dei navigatori della mente: Freud, Antonioni, Wenders ed altri eroi) effettua una ricerca filologica del montaggio risalendo alle radici di questa innovazione e dell'impatto sulle menti dei primi spettatore, ultimo esempio storico di tabula rasa. Il più prolifico scrittore tematico italiano fornisce spunti da approfondire. 
Alberto Spadoni (A proposito di Fellini: le radici riminesi) ritorna sul rapporto memoria-evento. Niente è a caso. Ricordi in acrobazie fra vecchio e nuovo, far da sé e insieme, fra ciò che resta e ciò che fertilizzava...

- Lo stato emotivo dello spettatore. 
Massimo De Mari (L'isola che non c'è e l'idoneità al volo) offre una chiave epistemologica all'adolescenza. Rivedere, rivedersi, oppure dire che si trova ciò che si ha.  
Nel lavoro di Pietro Roberto Goisis (Un'ora sola... ma di magia) ci si affaccia ad una vetrata. Si vede, si passa attraverso Liseli, la protagonista, Alina, la figlia e regista e Roberto, Goisis, il narratore di se stesso. Spettatore e contenitore per cui tutto succede dentro e per gemmazione anche nel lettore. Coraggioso ma costoso processo. Il prezzo per la propria umanità (ri)scoperta.
Lo studioso si mette da parte per rimaterializzarsi solo al termine di un percorso che è un lasciarsi attraversare dall'evento (...e ancora si è costretti a parlare di buon cinema per transmigrare poi verso la psiche).
Maria Vittoria Costantini, Paola Golinelli (Memorie e ri-costruzioni in psicoanalisi e nel cinema: Strange days e Betrayal) articolano uno scritto ricco di spunti, spiegando semplicemente concetti difficili, riuscendo a intessere un filo logico dalle neuroscienze alla stanza di analisi, tramando sulla mansione. Uno degli interventi più stuzzicanti e quindi interattivi del libro. Per approcciarlo è necessaria una conoscenza di base dei film sulla psicoanalisi, tuttavia ciò non è discriminante in modo assoluto. Gli ingredienti sono sempre i soliti, come in una pietanza. é l'arte del cuoco a renderla gustosa, desiderabile o semplicemente nutriente. Ecco, siamo di fronte ad una delicata pietanza di "nouvelle cuisine". 

- La dimensione gruppale dell'esperienza visiva.
Gian Piero Brunetta (Il cinema nei territori della psiche) sviscera gustosi aneddoti da cui emerge che il cinema sarebbe una macchina infernale, stimolatore degli istinti, plasmatore di masse; insomma, se il valore è dato dai nemici, il cinema ne ha vantato di eccelsi: Chiesa e Igiene. Il cinema come ambiente fecondante, insomma, in cui l'umido è sostituito dal visivo, l'atto dallo scatenarsi delle sequenze e la frizione dal ricordo ripescato in tranquillità. 
In seconda battuta Brunetta (... E splendean le stelle) risale alla mitopoiesi, prima che Hollywood scoprisse di essere tale. Il divismo cinematografico al femminile nei primi vent'anni del secolo XX: ingrandimento su ciò che la parola " vintage" oggi sintetizza. 
Infine Luciano Arcuri (Il cinema in una società che cambia) mette in luce l'utilizzo stigmatizzante del cinema contestualizzato alla rappresentazione mass-mediatica. 

Il difetto, per ultimo: la copertina meno accattivante degli ultimi anni.


Luigi Starace

N.28 - Psicoanalisi e Cinema: “Come in uno specchio

Massimo De Mari, Elisabetta Marchiori, Luigi Pavan (a cura di )

La mente altrove 
Cinema e sofferenza mentale 


Casa editrice FrancoAngeli
Collana psicoanalisi e psicoterapia analitica, diretta da Valeria Egidi 

    Indice:

      Andrea Sabbadini, Presentazione
      Elisabetta Marchiori, Massimo De Mari, Introduzione

      Parte I. Dolly, uno sguardo d'insieme
      Luigi Pavan, La psichiatria attraverso il cinema
      Massimo De Mari, Il cinema e la psicoanalisi
      Gian Piero Brunetta, Il cinema nei territori della psiche
      Luciano Arcuri, Il cinema in una società che cambi
      Umberto Curi, Il piacere delle immagini
      Elisabetta Marchiori, Io: chi? Riflessioni sull'identità attraverso il cinema

      Parte II. Zoom: analisi ravvicinante del rapporto tra psiche e cinema
      Simona Argentieri, Prigionieri del passato: la nevrosi si guerra nella rappresentazione cinematografica
      Gian Piero Brunetta, ... E splendean le stelle
      Giovanni Colombo, Ida Bertin, Il viaggio nel cinema e in psicoterapia
      Riccardo Dalle Luche, Cinema e delirio
      Vittorio Volterra, Trauma e stress in psichiatria e nel cinema
      Ignazio Senatore, Dei navigatori della mente: Freud, Antonioni, Wenders ed altri eroi

      Parte III. Close up : Primi piani su film e registi
      Massimo De Mari, L'isola che non c'è e l'idoneità al volo
      Maria Vittoria Costantini, Paola Golinelli, Memorie e ri-costruzioni in psicoanalisi e nel cinema: Strange days e Betrayal
      Pietro Roberto Goisis, Un'ora sola... ma di magia
      Alberto Sacchetto, La donna dai tre volti e Psyco: rappresentazione cinematografiche del disturbo dissociativo dell'identità
      Elena Grassi, Massimo De Mari, Psyco: la costruzione visiva del doppio
      Stefano Marino, L'orrore della generazione: tre film di Nanni Moretti
      Alberto Spadoni, A proposito di Fellini: le radici riminesi.


Harry Potter e il Principe Mezzosangue: il Musatti’s Eye.

Sono in fila al botteghino per il sesto episodio di Harry Potter. Gli adulti sono mosche bianche, anche più appariscenti dei propri ciuffi e crini canuti immersi nella varietà multicolor dell’intera fila. Qualche matusa ha portato i figli: traspare così un entusiasmo per la prima proiezione, ore 16 sul fuso orario subtropicale di Foggia (uno in più di Howgarths), più paterno che filiale. Di fatti l'anteprima è un concetto da anni 80, quando vedere prima era prioritario sul vedermeglio. Nowadays in piena rip-culture, con maxischermo portabili anche in campeggio e connessi al mondocon la chiavetta usb per lo streaming - perché - un (fisicamente) adolescente dovrebbe affannarsi in primo pomeriggio con 34 gradi all'ombra per la fila al botteghino? Cerco una risposta sui visi intorno. La trama, oltretutto è nota, arcinota, stranota. A far compagnia a quest’adolescente di oltre 100 chili che scrive ci sono i ragazzi di maria, del fratellone e anche, bello e importante, cittadini europei stabilmente e presumiamo “legalmente” residenti in Italia. Carrozzino compreso di fratellino "a branca impresa". Ricordo ancora la serata in cui vidi al cinema Dune, seimila lire, e immagino come potranno essere i ricordi del ragazzino fra 10 anni a rievocare l'Italia insieme alla bacchetta di Harry. Quando i miracoli non accadono, rimane solo la fata turchina o Albus Silente, poco importa (menomale) che farà outing nella prossima anteprima fra un anno. 

Harry Potter e il principe mezzosangue", i sette Horcrux ~ Spettacolo  Periodico DailyPenso alla trama del libro rinfrescata grazie alla buon vecchia wikipedia: è l'episodio in cui il male acquista una matrice d'origine riconoscibile, dall'essere overspread e sommessamente ovunque viene ricondotto ad una linea storica, con un passato, presente e futuro(ergo identificato e storicizzato). Probabilmente è il più interessante della serie, l'apice. Non è lo scontro finale bensì la negazione del proprio se negativo e l’inizio della collaborazione (ma non cooptazione) del vecchio col nuovo (uomo-maghetto). L’omicidio viene descritto come una frammentazione dell’anima e il senso di colpa dell’esser vivi come diretta conseguenza di ciò attanaglia il protagonista: il bene conseguenza del male. Mi dico che forse vale la pena vederlo sto’ film, anche per apprezzare come verranno svolti i nodi narrativi. Pago, senza sconto giornalisti, questa volta non è concesso edentro nella sala più grande delmultisala.I rumors cominciano subito, pop corn e ritardatari movimentano i promo. 


Comincia il film, ovazione di metà sala e poi, poi...più nulla. Cioè la pellicola scorre, lo schermo si anima, ma la sala si spegne dopo i primi venti minuti. Una sciatteria. I bisbigli e i commenti live dei vicini di posto aumentano, intenti a spiegare al genitore accompagnatore quanto accaduto nei precedenti film, e il genitore ancor più acutamente ed educatamente intento a voler capire subito. Se nei primi minuti erano un fastidio, dopo la prima mezz’ora diventano un toccasana e il vero intrattenimento “in sala”. La ragazzina a sinistra ha la sua versione dei fatti, mentre il nerd in erba a destra è un chiaro sostenitore del clan cattivo. Il tutto mentre maggiorenni ben identificabili da un tono di voce testosteronico sciorinano una conoscenza da scriba non solo della storia, entusiasmante sullo schermo quanto una miccetta per soldatini di piombo, ma dell’ambiente, dei luoghi e di tutto il background, costruito dalla scrittrice o dai forum in rete. Una tale passione, mi dico, andava coinvolta, non anestetizzata dai quattro movimenti di camera in piano americano su attori verosimilmente reduci da una puntata fiume del Maurizio Costanzo Show mattina. 

Review: Harry Potter e il Principe Mezzosangue | DDay.itSesso, no grazie (in fondo sono maghetti inglesi, al contrario dei coetanei babbani che negli ultimi anni hanno avuto un aumento delle malattie sessualmente trasmesse del 400%). Anche il bacio, dopo un’ora abbondante di proiezione, fra Harry e la sua futura compagna di una vita viene accolto con indifferenza dalla platea (e anche la scena primordiale è bruciata). Sensualità, magari sublimata nei volteggi delle scope volanti, nisba. Che delusione per i ragazzi coetanei del trio, cresciuti anno dopo anno col mondo parallelo in cui esistono anche i mezzi binari, le mezze misure, le diverse gradazioni di bontà o malvagità...e tutto quello che gli si riesce a proporre sono due ore e mezza di una versione sofisticata del maggior successo di Franco Califano...

Concludendo: il film va visto, per un ripasso di psicologia sociale. Mi viene da pensare ad un esperimento fatto da Cesare Musatti, uno dei primi psichiatri al mondo ad occuparsi di cinema e psiche: guardare i volti dei ragazzi mentre assistevano a Biancaneve della Disney. Musatti scoprì che l’identificazione proiettiva non seguiva necessariamente la morale della storia, anzi riferì d’aver osservato anche tratti di compiaciuto sadismo. Harry

Potter va visto con il Musatti’s Eye, non c’è dubbio. Naturalmente il regista è statoconfermato per girare il prossimo e conclusivo film doppio: Harry Potter e i doni della morte. Omen nomen, sartriana però. 

Luigi Starace


Risultati immagini per le quattro casalinghe di tokyo personaggiLe quattro casalinghe di Tokyo. Note noir, delitti efferati, amori grotteschi, lenzuola tinte di cupe volte notturne e luci al neon riflesse su uno scenario suburbano decadente, di questi essenziali elementi si compone il romanzo, pubblicato in Italia da Neri Pozza nel 2003, il cui titolo originale è Out, scritto da Natsuo Kirino, autrice giapponese, classe 1951.

 In questo romanzo giallo di 700 pagine sono raccolti, sotto lo stesso accogliente tetto, i versanti più oscuri dell'animo umano, partoriti dalle vischiose spire della frustrazione, del risentimento, dell'incomunicabilità e dell'afferimento a ceti e ruoli sociali rigidi e costrittivi, che vedono come ultima e unica via di liberazione il delitto, l'aberrazione e il lavoro notturno.
 In un Giappone contemporaneo, dalla struttura ferrea, quattro donne decidono di acquisire un pezzo della propria libertà economica lavorando come operaie in una fabbrica di pietanze pronte al consumo.

 In quest'ambiente, intriso di vapori caldi del cibo cotto frammisti a sanitizzante industriale, Masako, Yayoi, Kuniko e Yoshie, intrecciano parte delle proprie esistenze, immergendosi, notte dopo notte, in un oceano nero di crimini meticolosamente premeditati e tracciando i propri passi con scie di sangue, difficilmente estinguibili. Altri personaggi enigmatici si avvicendano nell'evolversi incalzante del racconto, i quali minano ulteriormente il concetto di integrità morale e umana, in contrasto con la mistificazione della società modello nipponica, descritta dalle virtù della precisione e dell'esattezza, ma macchiata, di contro, dalla violenza impressa da strutture e sovrastrutture culturali nell'individuo-automa.

 Lo stile fluido, scorrevole rende il complesso narrativo avvincente e la tensione, tipica dei thriller, tiene il lettore col fiato sospeso sino all'ultima pagina.

Una chicca imperdibile per gli amanti del genere, non adatto ai deboli di stomaco.

Recensione di 𝕸𝖆𝖗𝖙𝖎 𝖓𝖆 per Cafe sur la Lune ( https://t.me/joinchat/DO6Q8RD4RWMYuEK6dAz3Ug)


APPROFONDIMENTO SULLA  AUTRICE 


https://it.wikipedia.org/wiki/Natsuo_Kirino

https://www.corriere.it/moda/news/17_giugno_15/natsuo-kirino-con-nome-uomo-scrivo-storie-nere-cosi-avverto-donne-giappone-ci-tradisce-8e4c24c2-51e5-11e7-bf53-660c452c585b.shtml



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